TECNICA
“Nell’imperialismo planetario dell’uomo tecnicamente organizzato, il soggettivismo dell’uomo raggiunge la sua vetta più alta, e da qui ridiscenderà al piano della uniformità organizzata e vi si instaurerà. Questa uniformità diviene lo strumento più sicuro del dominio completo – cioè tecnico – sulla terra”.
(M. Heidegger, Sentieri interrotti)
A cura di Diego Fusaro Nel nostro immaginario, “tecnica” rimanda immediatamente a dispositivi sofisticati e a prodotti ad alto tasso di complessità, dai computer ai navigatori satellitari. Per i greci, invece, la techne alludeva, in generale, a un sapere dagli effetti pratici: tale poteva essere quella che oggi noi definiremmo “tecnica”, ma anche quella che, più propriamente, noi oggi appelleremmo “arte”. Tutte e due le dimensioni sono, infatti, racchiuse nel termine ellenico techne, al sapere pratico i cui fini non sono nell’azione stessa, ma nel prodotto a cui essa dà vita. Per l’agire del vasaio, ad esempio, lo scopo è la produzione del vaso. A differenza della teoria, che è un sapere fine a se stesso, e della pratica, il cui scopo è l’azione in sé considerata, la tecnica riguarda, dunque, prodotti specifici, creati grazie al sapere corrispondente. Sulla base di questa concezione, pur sommariamente delineata, possiamo davvero sostenere, in compagnia con molti filosofi del nostro tempo, che la nostra è l’epoca della tecnica: che tende, così, a diventare un modo d’essere fondamentale o, se preferiamo, l’essenziale maniera mediante cui ogni ente oggi ci si svela. Nel nostro presente, in effetti, pare che il nostro rapporto con il reale sia ormai solo quello proprio della tecnica: a tutto ci rapportiamo, infatti, secondo il modo più specifico della tecnica, che è quello volto all’efficacia e alla produzione di oggetti concreti, che siano utili e che permettano l’incremento della nostra potenza sulla realtà stessa. Il reale nella sua totalità e senza eccezioni pare, così, ridefinirsi come un unico, immenso apparato tecnico, disponibile per il nostro agire. Quest’ultimo, a sua volta, non ha altro fine se non il potenziamento illimitato della nostra stessa potenza, che è poi la nostra capacità di controllare il reale piegandolo ai nostri fini. V’è stato chi ha sostenuto che il progetto stesso della scienza e del sapere occidentali, fin dagli antichi greci, ha segretamente in sé l’essenza della tecnica: mirerebbe, cioè, a controllare la realtà, disponendone operativamente in vista degli scopi del soggetto stesso. Non sono così sicuro che già presso voi greci fosse così. Quel che è certo è che oggi il nostro mondo è dominato dalla tecnica e dalla sua visione essenziale dell’ente come prodotto di cui possiamo disporre in vista della nostra potenza. Quante volte, in effetti, delle cose che ci stanno intorno ci chiediamo anzitutto: che cosa posso farne? Quale utilità può avere per me che ne dispongo? Un pensare così strutturato alberga già in sé il fondamento del pensare tecnico di cui dicevamo. Se con l’attenzione che compete al filosofo ci guardiamo intorno e osserviamo la realtà circostante, non è difficile scorgere il dominio della tecnica e del suo pensiero corrispondente: ovunque vediamo dispositivi tecnologici e apparati sofisticati prodotti dalla tecnica. La natura nel suo complesso, e perfino noi stessi, siamo ogni giorno più “tecnicizzati”, ossia più sottomessi alla potenza della tecnica. A tal punto che sorge una domanda fondamentale, che in molti si sono posti, prospettando risposte differenziate: ma siamo davvero noi a dominare la tecnica? O non siamo, invece, divenuti “giocattoli” nelle sue mani? In definitiva, chi è il vero soggetto del mondo contemporaneo? Noi, che ci destreggiamo con gli apparati tecnici? O, al contrario, gli apparati tecnici, che ci utilizzano nell’atto stesso con cui ci illudiamo di essere noi a utilizzarli? In effetti, tra i paradossi della tecnica v’è anche quello in forza del quale oggi noi umani appariamo “antiquati” e arcaici rispetto ai prodotti tecnici, sempre più evoluti e sofisticati, a cui abbiamo dato vita. Che fare, dunque? Credo che sia fondamentale riscoprire, anche in questa sfera, il concetto di limite: e applicarlo, per quanto possibile, anche al mondo della tecnica, per evitare che alla fine non diveniamo del tutto schiavi, come in parte già siamo, dei prodotti tecnici. È sufficiente recarsi in strada per prenderne atto: vi troviamo persone che camminano seguendo i loro cellulari stretti in mano, come se fossero misteriose divinità che meritano rispetto. |