NICHILISMO
“Ciò che descrivo è la storia dei prossimi due secoli. Io descrivo ciò che viene […]: l’insorgere del nichilismo. […]. Che cosa significa nichilismo? Significa che i valori supremi si svalutano. Manca lo scopo. Manca la risposta al “perché?”. […Dunque] non possiamo porre nessun aldilà o un “in sé” delle cose. Manca il valore, manca il senso. […]. Risultato [di questa svalutazione]: i giudizi morali di valore sono […] negazioni: la morale è volgere le spalle alla volontà di esistere”.
(F. Nietzsche, Frammenti postumi)
A cura di Diego Fusaro Il concetto di nichilismo è tutto moderno, anche se nel suo nome risuona l’antica parola latina che dice il “nulla”, nihil. In termini generali, il nichilismo sarebbe quel processo che, attraversando la nostra storia occidentale, culminerebbe in un epilogo sconfortante: tutti i valori che avevano dato un senso all’esistenza, tutti i riferimenti e le coordinate attorno alle quali l’Occidente aveva pensato e costruito se stesso (vero, giusto, buono, bello, ecc.), alla fine precipiterebbero nel nulla, si consumerebbero fino a sparire e noi stessi smetteremmo di credere in essi. Insomma, il nichilismo è un processo di logoroamento e di declino dei valori fondamentali in cui si era creduto e che, alla fine, perdono valore: è, se così vogliamo dire, il processo della svalorizzazione dei valori; venendo meno i quali, resta ovunque un senso disincantato e rassegnato di vuoto. E nichilismo vuole, appunto, dire questo: che dei valori fondamentali e dei punti di riferimento decisivi della nostra storia non resta, alla fine, più nulla. In questo senso, il nichilismo è essenzialmente un processo, un accadere graduale, una storia che si dipana nel tempo: e riguarda tanto l’oggetto, ossia i valori fondamentali in cui si credeva, i quali si indeboliscono e si logorano, quanto il soggetto, ossia l’uomo, che gradualmente perde interesse per quei valori e cessa di credere in essi. Friedrich Nietzsche, il filosofo tedesco che ha teorizzato in forma insuperata il nichilismo nel XIX secolo, ne ha compendiato l’essenza nella formula “Dio è morto”. Con questa espressione, egli non dice, semplicemente, “Dio non esiste”. La questione è assai più sottile. Dire che “Dio è morto” significa porre in evidenza un processo in virtù del quale il Dio in cui gli uomini un tempo credevano, e grazie al quale attribuivano senso pieno al proprio esistere, è morto, ha cessaro d’essere o, se preferiamo, si è consumato fino a sparire. La nostra epoca pare completamente in balia di questo ospite così inquietante, che è ormai ovunque: nell’assenza di sogni e di progetti, nella rassegnazione e nella perdita di fede, nella mancanza di valori e nel disinteresse per la verità. La società in cui viviamo è quella per cui ha valore solo ciò che ha un prezzo e, insieme, conta solo ciò che può essere contato: tutti i valori si sono svalorizzati e, in loro luogo, è sopravvissuto solo il valore del profitto. Che fare per reagire al nichilismo? I più oggi lo subiscono passivamente, in una sorta di mestizia solitaria che li porta alla disperazione e all’angoscia che scaturiscono dal non credere più a niente e dal non nutrire più alcuna speranza. Io credo, invece, che sia compito fondamentale della filosofia prospettare possibili piste di liberazione, vie di fuga che ci sottraggano alla presa opprimente del nichilismo. Una di queste potrebbe essere, io credo, il recupero dei valori non tramontati dell’Occidente, quelli che hanno fondato la nostra storia, a partire dal concetto stesso di verità così come l’ha messo a tema la filosofia greca. Un altro sentiero possibile potrebbe essere, se prestiamo fede a Nietzsche, quello di un nichilismo “attivo”: di un nichilismo, cioè, che a differenza di quello “passivo” oggi dominante, diventasse creativo e dal nulla ovunque dilagante sapesse creare qualcosa di realmente nuovo, ponendo inediti valori e impensate prospettive. |