Due dei principali presupposti dell’evo postmoderno sono la derealizzazione e la destoricizzazione, dunque la perdita dell’esperienza del reale e la perdita della storicità. La storicità è oggi assente, nel trionfo dell’end of history e di quella che, variando Nietzsche, definiamo la “malattia antistorica”: l’homo neoliberalis non è in grado di pensare storicamente e, dunque, di afferrare il reale nella sua dinamica storica. Pensa l’esistente nei termini di una presenza data, naturale-eterna (there is no alternative), da rispecchiare scientificamente e in ogni caso da sopportare (e da supportare) con spirito di resilienza. L’eclissi della storicità si porta appresso il tramonto del pensiero dialettico e della sua prerogativa di cogliere l’essente nel suo divenire.
Per quel che concerne la perdita della realtà (o derealizzazione che dir si voglia), essa si manifesta pienamente nella digitalizzazione del mondo e nella fine dell’esperienza: il mondo digitalizzato è il mondo delle non-cose (e-things) e dei dati, degli algoritmi e della deoggettualizzazione del reale.
“La digitalizzazione – ha scritto Han – derealizza, disincarna il mondo”, dacché lo informatizza e lo sostituisce con gli schermi: dal feticismo degli oggetti descritto da Marx si transita, in tal guisa, al nuovo feticismo delle informazioni e dei dati.

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