Più di ogni altro autore, lo Hegel ha consapevolezza della contraddizione in cui la modernità capitalistica si è incagliata: tale contraddizione è data dalla sintesi letale di illuminismo e liberalismo. È, ontologicamente, la contraddizione dell’intelletto astratto che fraziona e smarrisce l’Intiero come Totalità differenziata. È, politicamente, la contraddizione del liberalismo, che guarda alla parte (l’individuo) e smarrisce la comunità organica. Hegel combatte contro questa duplice contraddizione, convinto che sia espressione della più generale contraddizione del moderno: e lo fa senza proporre un nostalgico ritorno alla metafisica dell’Intiero indifferenziato e astorico e alle politiche della comunità pre-1789, ciò che anzi egli combatte con ferma vigoria intellettuale.
Quella a cui lo Hegel dà battaglia è, in ultimo, la contraddizione irrisolta tra il pensiero della libertà formale, l’assoluto diritto della volontà libera – la novitas del moderno –, da una parte, e il concetto della libertà materiale e sostanziale (in una parola, sittlich): la soluzione che egli prospetta sta nella possibilità della libertà di un ordinamento statale che riannodi tra loro, in una sintesi superiore, le volontà libere individuali con la volontà unitaria della Totalità etica. Liberalismo e illuminismo non sono in grado di risolvere tale contraddizione e, ancor prima, di metterla a tema, dacché il loro è il pensiero dell’intelletto astratto e separante: ciò vale, a maggior ragione, per la nostra epoca del cosmopolitismo liberista, che, sul piano socio-politico, universalizza il cattivo infinito del sistema dei bisogni deeticizzato e la figura dell’individuo monadico con la sua volontà libera e, sul piano filosofico, santifica il nichilismo relativistico postmoderno come superstruttura glorificante l’ordine dei rapporti di forza.
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