Il dissenso costituisce, per impiegare liberamente una categoria di Essere e Tempo di Heidegger, un “esistenziale”. L’essere-nel-dissenso, se volessimo ancora esprimerci variando le grammatiche heideggeriane, rientra tra le specificità più proprie di quell’animale non stabilizzato e strutturalmente non stabilizzabile che è l’uomo. In quanto “animale dissenziente”, egli da sempre prende posizione rispetto al potere costituito e all’ordine simbolico dominante. Come già sapeva Spinoza, non vi sarà mai un dominio a tal punto pervasivo e capillare da estirpare in forma definitiva la capacità dell’uomo di resistere e di opporsi, di protestare e di ribellarsi. A un’analisi non superficiale, pare che solo l’uomo, tra tutti gli esseri del creato, registri tra le proprie prerogative fondamentali il dissenso. Con le parole di Camus, “l’uomo è la sola creatura che rifiuti di essere ciò che è”, senza accontentarsi delle forme sociali, politiche e simboliche già esistenti. Gli altri animali, dal canto loro, non dissentono, se non in forme basiche e strettamente legate al mondo della vita. L’uomo soltanto dissente quand’anche i suoi istinti primari siano stati soddisfatti, protestando, ribellandosi e percorrendo la via della rivoluzione o della sovversione al cospetto di ordini politici ritenuti difformi rispetto a come potrebbero e dovrebbero essere. A tutta prima, il dissenso sembra presentarsi come un concetto a tal punto vago e comprensivo da alludere a tutto e al suo contrario, da ospitare, entro il proprio orizzonte di senso, esperienze e figure sideralmente distanti tra loro: dalla vergogna individuale alla rivoluzione mondiale, dal giusto crocifisso in quanto “eretico” al brigante che dissente rispetto all’ordine legale, dall’azione organizzata all’inazione della semplice disobbedienza, dalla cultura alla politica, dall’arte fino alla “rivolta metafisica”, come la qualificava Camus.
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