Vi sono, poi, quelli che non agiscono. Quelli che criticano tutto e tutti e che, per non sporcarsi le mani, rinunziano con sovrano disprezzo a ogni concreta presa di posizione nell’agone politico e sociale sempre più globalizzato. Sono per esempio coloro i quali, dal 1989 a oggi, ogni qual volta scoppi un conflitto, scelgono di non scegliere. Preferiscono, cioè, sospendere il giudizio, senza schierarsi con una delle parti in lotta. Si limitano, tendenzialmente, a condannarle tutte, magari asserendo – con tono a cavaliere tra lo ieratico e il sapienziale – che sono “tutte uguali” o che la violenza è sempre sbagliata (anche nel caso di un’aggressione subita non v’è, allora, diritto di difesa?). Va da sé che grazie a queste che, con Hegel, chiamiamo “anime belle”, il mondo sempre resterà così com’è: i rapporti di forza non verranno mai rovesciati e nemmeno scalfiti. Il loro non schierarsi è, de facto, già uno schierarsi per il rapporto di forza egemonico così com’è. “Indifferenti”, li chiamò, con ostentato odio, Gramsci nel 1917. “Anime belle”, li appellò Hegel nel 1807 nella “Fenomenologia dello Spirito”. Le “anime belle”, i puristi del pensiero astratto che temono ogni possibile contaminazione con la realtà concreta. Nell’anima bella – Hegel docet – «la coscienza vive nell’angoscia di contaminare con l’azione lo splendore del proprio interno» ed è appunto questo terrore dell’incontro del concetto con il reale che «le impedisce di trasformare il suo pensiero in essere», in oggettivazione pratica effettiva. Per non sbagliare, l’anima bella non agisce. Per non contaminarsi con la realtà e con le sue contraddizioni, l’anima bella critica tutto e tutti, lasciando tutto così com’è. Eppure, quasi convergendo ante litteram con Hegel, il Platone del primo libro della “Repubblica” ci aveva insegnato che la politica e la filosofia devono compiere una “catabasi”, una “discesa” in quell’ade che è la società, con le sue storture e le sue contraddizioni. Per provare a mutarla con la forza di un logos che si fa prassi e che informa di sé il reale stesso.
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