Il potere impolitico dell’economia può, oggi, scorrere indisturbato nello spazio dell’arena globalizzata e denazionalizzata, fuori dal raggio d’azione della politica. L’“anarchia commerciale” denunciata da Fichte corrisponde all’odierna deregulation propria del laissez faire globale del codice neoliberista. Il capitalismo regolato non può esistere, poiché la sua essenza è la sregolatezza, l’entropia efficiente che travolge ogni norma che aspiri a frenare e limitare la dinamica autoreferenziale della crescita infinita. Presentata mediante l’autorevole e liturgico uso della lingua inglese a mo’ di nuovo latinorum, la deregulation altro non è, in fondo, se non la dinamica di liberazione dalle forme e dalle regolamentazioni che frenano l’innovazione tecnocapitalistica garantendo tutele a norma di legge per i lavoratori e per la comunità umana, le democrazie e i diritti. Perché ciò possa darsi in forma compiuta occorre, certo, destrutturare la coscienza oppositiva della massa nazionale-popolare (ciò che con successo è stato ottenuto), ma anche desovranizzare gli Stati, rimuovendo le condizioni di ogni loro possibile manovra di gestione dell’economia. La gestione dell’economia è resa impossibile mediante l’annullamento dello spazio politico degli Stati sovrani e, a livello simbolico, mediante la demonizzazione apriorica di ogni progetto di governo politico dell’economia stessa, preventivamente etichettato come totalitario. Ciò è reso possibile anche, e non secondariamente, dal fatto che il liberalismo, in modo del tutto indimostrato, è stato pacificamente assunto come il non plus ultradella filosofia politica e come il supremo tribunale, al cui cospetto sono convocati e chiamati a discolparsi tutti i regimi politici che non si fondino senza riserve su di esso. La politica stessa, dopo il 1989 ridotta pressoché integralmente a continuazione dell’economia con altri mezzi, non accetta movimenti, fazioni e partiti che non abbiano giurato eterna fedeltà al verbo liberale: con l’ovvia conseguenza per cui, nel trionfo del falso pluralismo occultante la reale natura del totalitarismo glamour, si confrontano sempre solo un liberalismo di destra, un liberalismo di centro e un liberalismo di sinistra. Quale che sia la parte trionfante, a vincere è il liberalismo, sia pure con intensità e colorazioni cangianti. È anche grazie alla deregolamentazione che la condizione neoliberale può caratterizzarsi, in modo niente affatto secondario, per la privatizzazione integrale di quelli che, ancora prima del 1989, erano intesi come beni comunitari indisponibili (dalla salute alla casa, fino all’istruzione). Cuore segreto del capitale e della sua atavica pulsione acquisitiva fondata sulla asimmetria del nesso di signoria e servitù, lo spirito individualistico del profitto illimitato continua senza tregua a ricorrere alla pratica delle enclosures, privatizzando il pubblico e trasformando in merci acquistabili i beni comuni e i diritti. Il libero cannibalismo proprio della norma della competitività antagonistica rioccupa gli spazi della solidarietà comunitaria: ridefinisce come oggetti di consumo accessibili sulla base del valore di scambio quelli che un tempo erano diritti inalienabili. Le figure interconnesse della cittadinanza e del cittadino incardinate sull’eticità dello Stato sovrano nazionale si eclissano, sostituite dai nuovi profili del cliente e del consumo, con centralità della forma merce e del valore di scambio diversamente distribuito. Con le grammatiche del saggio marxiano Sulla questione ebraica, si è globalizzato non certo il profilo del citoyen, che anzi sta eclissandosi, ma quello delbourgeois, dell’individuo privatizzato che costruisce le sue relazioni sul fondamento del teorema dell’insocievole socievolezza.

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