HUSSERL, L’EPOCHÉ
[Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica]
Al tentativo cartesiano di un dubbio universale potremmo ora sostituire l’universale epoché nel nostro nuovo e ben determinato senso. Ma a ragion veduta noi limitiamo l’universalità di questa epoché. Poiché, se le concediamo tutta l’ampiezza che può avere, non rimarrebbe piú alcun campo per giudizi non modificati e tanto meno per una scienza: infatti ogni tesi e ogni giudizio potrebbero venir modificati in piena libertà e ogni oggetto di giudizio potrebbe venir messo in parentesi. Ma noi miriamo alla scoperta di un nuovo territorio scientifico, e vogliamo conquistarlo proprio col metodo della messa in parentesi limitato però in un certo modo.
Dobbiamo indicare questa limitazione.
Noi mettiamo fuori azione la tesi generale inerente all’essenza dell’atteggiamento naturale, mettiamo di colpo in parentesi quanto essa abbraccia sotto l’aspetto ontico: dunque l’intero mondo naturale, che è costantemente “qui per noi”, “alla mano”, e che continuerà a permanere come “realtà” per la coscienza, anche se a noi talenta di metterlo in parentesi.
Facendo questo, come è in mia piena libertà di farlo, io non nego questo mondo, quasi fossi un sofista, non revoco in dubbio il suo esserci, quasi fossi uno scettico; ma esercito in senso proprio l’epoché fenomenologica, cioè: io non assumo il mondo che mi è costantemente già dato in quanto essente, come faccio, direttamente, nella vita pratico-naturale ma anche nelle scienze positive, come un mondo preliminarmente essente e, in definitiva, come un mondo che non è un terreno universale d’essere per una conoscenza che procede attraverso l’esperienza e il pensiero. Io non attuo piú alcuna esperienza del reale in un senso ingenuo e diretto.
[…]
Proprio questo valere preliminarmente, che mi porta attualmente e abitualmente nella vita naturale e che fonda la mia intera vita pratica e teoretica, proprio questo preliminare essere-per-me “del” mondo, io mi inibisco; gli tolgo quella forza che finora mi proponeva il terreno del mondo dell’esperienza, e tuttavia il vecchio andamento dell’esperienza continua come prima, salvo il fatto che questa esperienza, modificata attraverso questo nuovo atteggiamento, non mi fornisce piú il “terreno” sul quale io fino a questo momento stavo.
Cosí attuo l’epoché fenomenologica, la quale, dunque, eo ipso, mi vieta anche l’attuazione di qualsiasi giudizio, di qualsiasi presa di posizione predicativa nei confronti dell’essere e dell’essere-cosí e di tutte le modalità d’essere dell’esistenza spazio temporale del “reale”.
Cosí io neutralizzo tutte le scienze riferentesi al mondo naturale e, per quanto mi sembrino solide, per quanto le ammiri, per quanto poco io pensi ad accusarle di alcunché, non ne faccio assolutamente alcun uso.
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“Noi potremmo chiamarci la Congregazione degli Apoti, di ‘coloro che non le bevono’, tanto non solo l’abitudine ma la generale volontà di berle è evidente e manifesta ovunque”.
(G. Prezzolini, lettera, pubblicata su “La Rivoluzione liberale”, n. 28, 28 settembre 1922)
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