Sull'”Huffington Post” esce in questi giorni un curioso articolo dal titolo “Il woke che non esiste: ve lo dimostriamo”. Leggendo con attenzione l’articolo, si scopre che esso non dimostra assolutamente nulla, limitandosi a snocciolare una serie di teoremi ideologici di maniera. In sostanza, la fragilissima tesi dell’articolo è quella secondo cui chi parla di woke deve essere di necessità una estremista di destra, contrario al progresso e alla liberalizzazione dei costumi. Il solito teorema della new left dell’arcobaleno, anche se in questo caso formulato da un autore – Marco Gervasoni – la cui postura teorica generale sembra assimilabile ai canoni della destra bluette. Il teorema è chiaro nella sua banalità o, direbbe Hegel, nella sua “vuota profondità”. Si nega aprioricamente la questione, liquidandola come frutto della mente perversa della destra estrema. Eppure sarebbe facilissimo dimostrare che il cosiddetto woke esiste e che la sua critica non è per nulla ascrivibile al quadrante della destra. Basti ricordare che il più bel libro, nonché il più documentato, sul tema è stato scritto da un autore tutto fuorché di destra, Carl Rhodes: il quale, nel suo studio “Woke capitalism”, ha impostato in maniera sostanzialmente corretta la questione, mostrando come l’ideologia arcobaleno del woke sia il perfetto completamento del nuovo spirito del capitalismo deregolamentato della liberalizzazione integrale del reale e del simbolico in nome del mercato sans frontières. La tesi di Rhodes è che il woke permette alla new left di abbandonare la lotta di classe per convertirsi a lotte irrilevanti in nome dei capricci arcobaleno per ceti possidenti e che, ancora, consente ai padroni che sfruttano il lavoro di pulirsi la coscienza con irrilevanti iniziative arcobaleno. A queste tesi, mi permetto di aggiungerne una, assente nel testo di Rhodes: i capricci arcobaleno del woke sono intrinsecamente funzionali alla marcia del turbocapitalismo, dacché la deregolamentazione dell’economia necessita di una convergente deregolamentazione dei costumi. Affinché tutto diventi merce, deve essere abbattuta ogni figura del limite e del confine, secondo uno dei capisaldi dell’ideologia wokista. Il woke potrebbe con diritto essere inteso come il neoliberismo applicato alla sfera dei costumi. La sua radice ideologica potrebbe trovarsi ragionevolmente nel testo di von Hayek “Perché non sono un conservatore”, testo nel quale il nume tutelare del liberismo mostra come un vero sostenitore del mercato debba egualmente sostenere il progressismo culturale e simbolico, naturalmente in funzione del mercato stesso e della sua marcia trionfale. Il fatto che i teorici del woke lo difendano negandone l’esistenza risulta sintomatico della debolezza della loro posizione. D’altro canto – Marx docet – l’ideologia tende sempre a negare se stessa, presentandosi naturale come l’aria che respiriamo.
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