Ricordando Palmiro Togliatti. Con le parole di Italo Calvino:

“Con Togliatti, comunque lo si giudichi, s’è avuto il caso più unico che raro in Italia (raro anche fuori) d’un uomo la cui autorità politica aveva tra le sue principali componenti l’autorità intellettuale. Autorità d ’una specie tutt’altro che facile da spiegare a chi non ha vissuto quell’epoca. (…) Togliatti era anche lui un personaggio inaspettato, non facile da capire, per noi figli dell’Apocalisse. Ma la lezione che il suo stile subito imponeva, questo staccare la volontà rivoluzionaria da ogni emotività, e associarla invece alla calma riflessiva, alla sicurezza di sé, d’una nuova «classe di governo» (così egli definiva la classe operaia) ci obbligava a una specie di doccia scozzese su ogni nostro discorso e pensiero e atteggiamento, un tirocinio che aveva un senso e che lasciava un segno. Come personalità intellettuale, Togliatti aveva, per formazione e vocazione, un forte senso della continuità storica nazionale. Sapeva che una rottura rivoluzionaria non può operarsi senza un elemento mediatore che in qualche modo saldi la continuità interrotta, e tra questi elementi metteva gli intellettuali e la tradizione culturale, compresa l’alta cultura come istituzione storica, garanzia di identità collettiva e di pedagogia civile. Non per nulla i suoi anni di formazione erano stati quelli dell’idealismo neohegeliano italiano del primo Novecento. Altre immagini di cultura che magari avrebbero risposto ad aspettative più nuove – per esempio cultura come insieme di tecniche della conoscenza o di strumenti interpretativi, o come sismografo di crisi, o come analisi dell’inconscio collettivo, o come elaborazione creativa e critica dal basso – direi che non entravano nel suo quadro.
Il massimo punto di forza nell’azione culturale di Togliatti fu naturalmente la pubblicazione degli scritti postumi di Gramsci. Operazione che ora viene variamente criticata, ma che fu condotta, nella situazione d ’allora, con grande bravura: nel giro di pochi anni Gramsci, di cui non si conosceva praticamente nulla, divenne – prima che un teorico del partito comunista – un classico del pensiero italiano, e un classico che ancora resiste abbastanza ai pericoli d ’imbalsamazione”.
[Italo Calvino su Togliatti, 1974. Ora in I. Calvino, Saggi 1945-1985 vol. 2, coll. Meridiani, Milano, Mondatori, 1995, pp. 2803 ss.]

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