«Il cibo, insomma, non è mai per l’uomo semplicemente un “pezzo di natura”, ma è già sempre il frutto di una rielaborazione culturale e simbolica, non così diversa, in fondo, da quella relativa al corpo: in tutte le culture, esso non viene lasciato essere come natura intatta, ma è sempre reso oggetto di elaborazione simbolica e di scrittura, mediante tatuaggi e mutilazioni, cicatrici rituali e altri artifici che permettono il transito del corpo dalla natura alla cultura. Si potrà, dunque, distinguere l’uomo dagli altri animali per il fatto che pensa ed è dotato del λόγος, come voleva Aristotele, e per il fatto che lavora, come evidenziato da Marx. Ma non si potrà neppure omettere che, tra tutti i viventi, solo l’uomo elabora il proprio cibo, trasformando in fatto culturale la muta materia di cui gli altri animali si nutrono. L’homo sapiens è, dunque, anche homo edens, l’animale che mangia e che lo fa diversamente dagli altri animali: cucina il cibo e lo simbolizza, lo racconta e lo rende un fatto culturale – perfino artistico – nella forma del gusto, che varia nel tempo e nello spazio. Fin dalla scoperta del fuoco e dall’invenzione dell’agricoltura, le grandi rivoluzioni che hanno attraversato il cammino dell’umanità “sono tutte legate all’alimentazione”».
(D. Fusaro, “La dittatura del sapore”, Rizzoli 2024)