Ogni tanto ci imbattiamo anche in qualche buona notizia, sia pure molto raramente, va detto: e la trasmettiamo magno cum gaudio. Il governo italiano finalmente ha fatto una cosa buona, dopo tante malefatte riguardanti sia la politica estera, con la subalternità integrale a Washington, sia le politiche interne, con l’adesione cadaverica ai diktat dei mercati cosmopoliti. L’Italia infatti ha nei giorni scorsi posto fuorilegge la maternità surrogata, formula orwelliana per dire l’utero in affitto. Utero in affitto che adesso diventa reato universale: non soltanto non lo si potrà praticare in Italia, ma i cittadini italiani non potranno avvalersene neppure all’estero. Si tratta di una scelta di civiltà fondamentale, che pone un argine al processo di mercificazione integrale della vita che è coessenziale al ritmo della globalizzazione turbocapitalistica. Come ho cercato di chiarire nel mio studio “Il nuovo ordine erotico. Elogio dell’amore e della famiglia”, l’utero in affitto rappresenta il non plus ultra della barbarie tecnocapitalistica per più ragioni: anzitutto perché trasforma il ventre della donna in un magazzino aziendale mercificato e disponibile; in secondo luogo poiché costituisce l’apice dei processi di “sostituzione tecnica”, in forza dei quali la vita stessa diventa variabile dipendente della Tecnica. Walter Benjamin potrebbe aggiornare il suo testo e titolarlo altrimenti, “L’essere umano nel tempo della sua riproducibilità tecnica”. Oltre a ciò, l’alienazione connessa ai processi legati all’utero in affitto si evince dalla esiziale riduzione del nascituro a merce on demand, liberamente selezionabile dal buon consumatore a seconda dei propri gusti e dei propri capricci individuali. Infine, la maternità surrogata risulta una pratica oscena dacché fa valere in forma parossistica l’inganno della libertà liberale: inganno in forza del quale, nel caso specifico, nessuna donna sarà costretta a mettere in affitto il proprio utero, ma saranno le condizioni economiche stesse delle donne a imporre loro di farlo nel caso in cui appartengano ai ceti più deboli. Quel che stupisce, in questa vicenda, riguarda il contegno della sinistra, anzi della sinistrash, come ormai da tempo la qualifico per distinguerla dalla nobile sinistra rossa della falce e del martello: in effetti, la battaglia contro l’utero in affitto dovrebbe essere una battaglia tipicamente di sinistra e invece oggi la sinistra neo-liberale e padronale difende senza tregua l’utero in affitto. A tal punto che, quando il governo ha annunciato la nuova legge, gli araldi arcobalenici della sinistrash arcobaleno sono pietosamente insorti: non solo non si battono contro l’utero in affitto, ma addirittura lo difendono a spada tratta, come se la mercificazione e lo sfruttamento rappresentassero l’apice del progresso. Se di progresso vogliamo parlare, ebbene esso riguarda soltanto il capitalismo e le sue classi di riferimento. Non ce ne stupiamo nemmeno poi troppo: le sinistre rosse un tempo sfilavano al fianco dei lavoratori e si battevano per i loro diritti; oggi le sinistre fucsia ballano sulle note di Maracaibo sui carri dei pride tra parrucche fucsia e uomini camuffati da donne. La metamorfosi kafkiana può dirsi compiuta: la sinistra, che un tempo fu la soluzione, oggi diventa parte integrante del problema.
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