In molti mi domandano se, alle elezioni presidenziali americane, voterei per Trump o per Harris. S’i fosse americano, parafrasando Cecco Angiolieri, a chi attribuirei la mia preferenza? Credo che questo modo di impostare la questione sia del tutto sbagliato e chiarirò subito il perché. In generale, in Europa le elezioni americane vengono percepite e vissute con la postura tipica del suddito che spera che nell’Impero vinca l’imperatore buono, Traiano, e non l’imperatore cattivo, Nerone. Ecco allora che in queste settimane gli europei si sono divisi nelle loro speranze, auspicando ora la vittoria di Trump, ora quella della Harris. Ma questo modo di ragionare presuppone già una totale subalternità mentale rispetto all’Impero, del quale l’homo europaeus si sente comunque suddito, avendo introiettato la propria sottomissione. Io credo dunque che la giusta modalità di impostazione della questione sia radicalmente altra: dobbiamo essere consapevoli della nostra subalternità all’Impero di Washington e, da qui, dobbiamo prendere le mosse per provare a pensare l’alternativa e, più precisamente, la via di fuga dalla sottomissione all’imperialismo di Washington, che tratta l’Europa tutta come una colonia; una colonia peraltro facilmente sacrificabile sull’altare del proprio dominio e delle proprie guerre all’insegna dell’imperialismo etico e dei missili democratici. Per questo, dovremmo smetterla una buona volta di guardare con subalternità a Washington e principiare ad allargare l’orizzonte verso i Brics e tutti quegli Stati che, in un modo o nell’altro, stanno organizzando una resistenza all’imperialismo di Washington e, con essa, stanno ponendo un essere la possibilità di un mondo finalmente multipolare come era prima del 1989. Francamente il dibattito sulla preferibilità di Trump o della Harris mi appassiona davvero poco, poiché i due soggetti in questione sono egualmente espressione dell’ordine neoliberale americanocentrico e imperialistico.
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