Su diversi quotidiani nazionali, leggiamo che “gli italiani non mangiano insetti”: in buona sostanza, il popolo italiano respinge la moda tanto in auge del cosiddetto novel food, come lo chiama la neolingua mercatista; quello che noi nel nostro studio “La dittatura del sapore” abbiamo definito il piatto unico gastronomicamente corretto, che va a completare il pensiero unico politicamente corretto. I nuovi piatti della globalizzazione a tavola non attecchiscono nel Belpaese, chi preferisce continuare a mangiare secondo la propria cultura, che rende in effetti unica l’Italia anche a tavola: nonostante la debolezza nazionale storica del nostro paese, il popolo italiano è decisamente forte sul piano culturale e identitario, essendo figlio della tradizione romana e poi di quella cristiana, del Rinascimento e della grande cultura umanistica; quasi come se la debolezza politica fosse compensata dalla solidità culturale e identitaria. Il radicamento culturale degli italiani anche a tavola fa sì che essi respingano al mittente il nuovo piatto gastronomicamente corretto e seguitino a nutrirsi delle loro pietanze tradizionali, senza cedere alle ammalianti lusinghe della globalizzazione gastronomica o, come meglio sarebbe dire, gastroanomica. Ciò ci permette di dire che chi ha solide radici non deve temere il vento impetuoso e gelido dei processi della globalizzazione sradicante, che tutto e tutti pretende di omologare sotto il segno della forma merce e della utilizzabilità universale. È il fabula docet che traiamo dall’antico mito di Anteo, il gigante imbattibile, che traeva la sua forza dal contatto con la madre terra. Ercole riuscì a batterlo solo quando, avendo scoperto la ragione della sua forza, lo sollevò in cielo e gli impedì il contatto con la terra: la globalizzazione turbocapitalistica procede in maniera analoga ad Eracle, sollevando i popoli e gli individui e privandoli del contatto con la loro terra e con le loro radici, per poterli così sradicare e includere nel proprio modello omologato su scala planetaria. Come Anteo, gli italiani mantengono, almeno per ora, il loro contatto vitale con le loro radici culturali e gastronomiche e non si piegano alla dittatura del sapore del piatto unico gastronomicamente corretto. Se, come diceva il presidente Mao, la rivoluzione non è un prezzo di gala, lo stesso possiamo con diritto dire della globalizzazione della disuguaglianza.
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