Ecco alcuni dei principali errori della storiografia pigra intorno allo Hegel. In primo luogo, pensare che egli sia un conservatore e amico del potere: Hegel ha glorificato tutte le rivoluzioni del moderno, da quella inglese di Cromwell a quella francese. La stessa ontologia hegeliana assume come fondamento il divenire e lo sviluppo, ponendo al cuore dell’essere il superamento costante delle condizioni esistenti. In secondo luogo, attribuire a Hegel la tesi manicomiale della fine della storia: con buona pace di Kojève e di Fukuyama, il fatto che Hegel neghi la possibilità di fare filosofia sul futuro, cioè su ciò che ancora non c’è, non autorizza in alcun modo a ritenere che egli neghi il futuro come sviluppo ulteriore della storia. Tant’è che nelle lezioni sulla storia della filosofia parla delle pianure russe e americane come possibile teatro della storia futura. In terzo luogo, presentare caricaturalmente Hegel come teorico della razionalità di tutto ciò che esiste: per Hegel, razionale è il reale, non l’esistente; e il reale non è altro se non ciò che nell’esistente rispecchia l’Idea. Sicché vi può ben essere un esistente che non sia razionale e paradossalmente nemmeno reale. Hegel lo scrive testualmente. Nel 1789 l’ordine feudale era ancora esistente ma non più reale proprio perché lo spirito era già andato oltre e si accingeva a far crollare la vecchia impalcatura del mondo. In quarto luogo, si fa talvolta fumettisticamente di Hegel il pensatore dell’astratto: quando in realtà la filosofia di Hegel, fin dai testi giovanili, si pone come una spietata critica delle filosofie dell’astratto e della riflessione. Non vi è pensatore più concreto di Hegel, a partire anche dalle immagini dense di realtà e di mondanità che egli impiega. La filosofia stessa, come Hegel non si stanca di ripetere, ha per oggetto il reale, il concreto, le obiettive estrinsecazioni dell’idea nel suo processo di autosviluppo. In quinto luogo, si presenta follemente Hegel come teorico del totalitarismo, secondo una linea ermeneutica schiusa da un testo assai mediocre come “La società aperta e i suoi nemici” di Popper. Lo Stato di Hegel non è altro che lo Stato costituzionale che incarna e condensa le acquisizioni della rivoluzione francese, senza annichilire la libertà dell’individuo concreto: del resto, a differenza di Giovanni Gentile, Hegel non annulla la società civile nello Stato ma la mantiene nella sua cerchia autonoma. In sesto luogo, si presenta Hegel come storicista assoluto, come se la verità fosse semplicemente l’accadere storico: in questo modo, la “Scienza della logica” diventa un testo apocrifo! Nella “Scienza della logica”, come è noto, Hegel si occupa di Dio prima della creazione del mondo, cioè della verità considerata in forma logica prima e a prescindere dalla sua obiettivazione nel reale. In conclusione, vorrei dire che nessun altro autore più di Hegel è oggetto di fuorviamenti ermeneutici dovuti, oltre che alla scarsa comprensione della sua filosofia, a una chiara volontà dello spirito del nostro tempo di ostracizzarlo. Infatti, Hegel, anche più di Marx, risulta l’autore più inconciliabile con l’ordine della globalizzazione neoliberale: e ciò in ragione del fatto che egli riconosce l’unione inscindibile di verità e storicità, l’esigenza di disciplinare politicamente la bestia selvatica del mercato, il carattere comunitario dell’uomo, il pensare dialettico come pensare il divenire degli assenti sottraendoli alla loro presunta immutabilità.
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