L’odierno sistema globale si configura come la prima società della storia umana in cui regna sovrano il principio metafisico dell’assenza di ogni limite.
A dominare ubiquitariamente è il “cattivo infinito” della norma dell’accumulazione illimitata del capitale, dell’accrescimento smisurato del profitto e della legge del costante “voler-avere-di-più” che la produzione impone ai suoi miseri atomi sociali.
La coazione alla crescita infinita va a scapito non soltanto della vita di quegli esseri congenitamente finiti che sono gli uomini: non a caso la saggezza greca li qualificava come brotoì, come “mortali”, a sottolineare la finitudine come loro tratto distintivo.
L’insensato imperativo della smisuratezza porta anche alla disintegrazione del pianeta e dell’ecosistema. Anch’essi, del resto, presentano come propria cifra quella finitudine che è strutturalmente incompatibile con il sistema intimamente nichilistico della crescita infinita.
Nel fatto che la logica illogica del fanatismo cieco dell’economia e del monoteismo del mercato insegua, con inflessibile tenacia, il folle sogno della crescita infinita nel quadro di un ecosistema finito si spiega, peraltro, il carattere teologico del capitale come credo quia absurdum, come fede nell’assurdità evidente.
Il fatto, di per sé evidente, che la finitezza del pianeta sia strutturalmente messa a repentaglio dal circuito della smisuratezza capitalistica è una verità di cui perfino un bambino potrebbe agevolmente impadronirsi: e, invece, resta lettera morta per la fede cieca e irresponsabile dei sacerdoti dell’economia e dei taumaturghi della globalizzazione. A farne le spese è, giorno dopo giorno quell’ecosistema del quale noi siamo soltanto una parte.
Anche l’Italia non è esente da vere e proprie tragedie ambientali. Il che prova, se ve ne fosse ancora bisogno, che il sistema capitalistico genera, accanto alle “tragedie nell’etico” (Hegel), tragedie nell’ecosistema.
Come spesso accade, deliberate scelte politiche vengono ipocritamente presentate come inevitabile espressione della necessità sistemica: per questa via, sono deresponsabilizzati gli attori sociali, magari anche tramite il ricorso alla sempre in voga formula liberatoria “non vi sono alternative” o, da qualche anno, alla sua versione ideologicamente aggiornata: “ce lo chiede l’Europa”.
Il circo mediatico e il clero giornalistico – un clero nichilista, che non crede in nulla e parla di tutto – non dice una parola sul fatto che, ad esempio, il territorio della nostra penisola, conti ad oggi oltre cento insediamenti militari statunitensi, con migliaia di soldati e di armi di varia natura. Tra queste figurano anche le armi di distruzione di massa di tipo nucleare, in aperta violazione della stessa legge italiana (n. 185 del 9 luglio 1990).
Circo mediatico e clero giornalistico non dicono nulla, ancora, sul fatto che la Marina Militare USA attualmente stia sperimentando nei mari italiani cannoni pneumatici che sparano negli abissi onde sonore fino a 270 decibel con intervalli di 20 secondi: la tolleranza acustica delle balene e dei capidogli è di 150 decibel; con la conseguenza che si producono vere e proprie stragi di animali innocenti nei nostri mari.
Ancora, circo mediatico e clero giornalistico non dicono nulla del fatto che nella zona di Villaputzu e Muravera, in provincia di Cagliari, vi è un “Poligono Sperimentale Interforze”: vi si testano nuove armi, senza la benché minima attenzione per le conseguenze sulla vita di uomini, animali ed ecosistema. Una volta nella zona vi erano le pecore: ora nascono agnelli malformati.
A Quirra, frazione di Villaputzu, su 150 abitanti, ben 14 persone sono state uccide dalla leucemia e 14 bambini sono nati con gravissime malformazioni.
E si potrebbero addurre numerosi altri esempi analoghi disseminati su tutta la penisola italiana, di cui nessuno dice nulla. Per tacere, poi, del mare nostrum, infestato di ordigni proibiti inesplosi, che esplodono di tanto in tanto (uccidendo animali e a volte umani) o che generano leucemie per la popolazione (in Puglia specialmente).
Siamo abitatori di quella che si lascia inquadrare, con Heidegger, come epoca dell’“oblio dell’essere” e, con Marx, dell’“oblio dell’uomo”: l’essente – tanto l’umanità quanto l’ecosistema -vengono oggi sviliti al grado di cose illimitatamente utilizzabili.
Il pianeta stesso cessa di essere considerato come la nostra casa, vuoi anche come un organismo vivente con cui intrattenere un rapporto di cura e di ricambio organico.
Prende a essere inteso come semplice piano dello sfruttamento illimitato delle risorse, con annessa devastazione della terra e dei viventi. I sacri dogma dello sviluppo e della crescita senza limiti non possono essere messi in discussione: essi sono l’essenza della religione dell’economia, vera e propria teologia della disuguaglianza sociale e della devastazione del mondo.