Nei giorni scorsi, Bergoglio aveva provato a rinverdire una tesi decisamente collaudata e funzionale alla narrazione dominante: la tesi secondo cui tra lui e Ratzinger vi sarebbero piena continuità e piena unità di intenti. Si tratta di una tesi decisamente dominante, come sappiamo, addirittura ripresa nella serie Netflix del 2019, “I due papi”. Bergoglio ha provato a difendere detta tesi sostenendo che egli, nel 2005, difese Ratzinger contro chi voleva sabotarlo e impedirne la elezione. E ha altresì affermato che lo stesso Ratzinger in più circostanze lo difese apertamente. La tesi sembra difficilmente sostenibile e non per caso è intervenuto lo stesso biografo di Ratzinger, Peter Seewald, a smentirla proprio nei giorni scorsi. La verità è che tra Ratzinger e Bergoglio non vi è alcuna continuità, anzi i due rappresentano indirizzi antitetici e inconciliabili: Ratzinger ha sempre difeso la tradizione filosofica e teologica, provando a resistere alla dittatura del relativismo e al dilagare della civiltà del nulla. Bergoglio, per parte sua, rappresenta al meglio la tendenza all’evaporazione del Cristianesimo: la sua è una religione del nulla e dal cielo vuoto, una teologia col martello che demolisce tutti i capisaldi della tradizione e riduce il cristianesimo a semplice raddoppiamento del discorso unico della civiltà liberal-progressista. Non continuità, ma discontinuità; non unità di intenti, ma opposizione integrale: così deve dunque essere inteso il rapporto tra Ratzinger e Bergoglio, con buona pace della narrazione dominante e con buona pace di ciò che lo stesso Bergoglio prova ora a sostenere.
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