Bergoglio, che in molti ancora si ostinano a chiamare “Papa”, è recentemente tornato sulla questione ambientale. E così ha asserito: “se misuriamo la temperatura del pianeta, ci dirà che la Terra ha la febbre. E si sente male, come qualsiasi malato. Ma noi ascoltiamo questo dolore?”. Non è certo la prima volta che Bergoglio si sofferma sulla questione climatica e ambientale, ponendo al centro del suo magistero la natura. La “Laudato sì” del 2015 era integralmente dedicata al tema, e un paragrafo dell’enciclica si occupava addirittura della perdita della biodiversità, richiamando l’attenzione sull’importanza di vermi e specie in via d’estinzione. D’altro canto, in questi anni Bergoglio ci ha abituati a una sorta di culto della “madre terra”: culto che, culminato con il rito pagano del Pachamama in Vaticano, ha ben poco a che vedere con la dottrina cristiana, se si considera che per quest’ultima Dio è il solo signore della terra, la quale per ciò stesso non può essere, per così dire, deificata. Anche questa ossessione per l’ambiente da parte di Bergoglio – una vera e propria apostasia green – non fa che raddoppiare il pensiero unico politicamente corretto. Che così diventa anche teologicamente corretto. Come non mi stanco di ripetere, e come ho mostrato nel mio libro “La fine del Cristianesimo”, l’evaporazione del Cristianesimo affiora anche dalla teologia del nulla e dal nichilismo religioso di Bergoglio: il quale parla ora di ambiente, ora di emergenze pandemiche, ora di migranti, ora di lotta al sovranismo, ma non affronta mai le questioni ultime, quelle fondamentali per la vita del cristiano: le questioni dell’anima e della salvezza, dell’eterno e di Dio. La chiusura alla trascendenza è la vera cifra dell’operato di Bergoglio.

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