Che anche Cacciari, dopo lustri di onorato servizio in difesa del potere (UE, fine della sovranità e della lotta di classe, perfino riforma costituzionale 2016, ecc.) e del disincantamento più depressivo, si esprima contro la tessera verde è qualcosa di irricevibile per quello stesso potere che su di lui aveva puntato come intellettuale di completamento e di riferimento. È la prova, senz’altro, del fatto in sé positivo che moti di rivolta e di dissenso possono giungere anche dalle persone più insospettabili. La società che ha prodotto, come esito estremo, la tessera verde è la stessa che Cacciari ha fino a ieri benedetto, fin da quando – con molti altri – si è pentito del proprio marxismo e del proprio antagonismo sessantottesco e ha fatto di Heidegger una sorta di camera di decompressione per passare alla rassegnazione di “Krisis” e alla accettazione della società a capitalismo integrale, la società della Tecnica e dei Mercati. Cacciari, di cui lodiamo questa ultima coraggiosa presa di posizione (e che comunque resta un gigante rispetto ai microbi culturali oggi in circolazione), si trova ora a un bivio: o passare per intero alla contestazione integrale del nuovo ordine tecnosanitario, criticandone e combattendone i fondamenti e le estrinsecazioni, e con ciò approdando alla vecchia unione marxiana di teoria critica e di prassi rovesciante, oppure rifluire nella vasta (e a lui già ben nota) cerchia dei difensori dello status quo e del ne varietur, con prima serata televisiva garantita e interviste a pagina intera sui giornali aziendali del padronato cosmopolitico. Non si dimentichi che l’apologia dello status quo operata da Cacciari non è mai stata – e mai verosimilmente sarà – quella dei liberali ingenui, modalità Pangloss, per cui “viviamo nel migliore dei mondi possibili”. L’apologia di Cacciari è quella del “Grand Hotel Abisso” (Lukács), più raffinata e tipica dei fustigatori postheideggeriani della tecnica: “la civiltà odierna è orrenda, ma non si può cambiare: è il solo mondo possibile”. La potenza della critica è in questo modo disinnescata dal riconoscimento della intrasformabilità dell’oggetto criticato. Vedremo dunque quale sarà la strada di Cacciari, ma non ci facciamo troppe illusioni: conosciamo troppo bene l’infausta generazione del ’68, quella che ha trasformato il proprio naufragio in una vera e propria filosofia della storia che prevede disincantamento e ideologia della intrasformabilità del mondo, con annessa pratica di ipoteca del futuro delle nuove generazioni e con inevitabile astio, più o meno aperto, verso i giovani che non abbiano rinunziato alla passione trasformatrice e ai desideri di migliori libertà. Costanzo Preve chiamava i sessantottini “avvelenatori dei pozzi in cui hanno bevuto”, con ciò alludendo alla parabola tragicomica dei sopravvissuti di quella generazione, che non facevano altro che screditare gli ideali antagonistici e rivoluzionari nei quali avevano creduto e rispetto ai quali si erano disincantati.
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