Riprendo qui alcune mie considerazioni in tema di legalizzazione delle droghe. È la cifra dell’odierna condizione paradossale in cui il diritto allo spinello, al sesso libero e all’irrisione dei valori tradizionali viene concepito come maggiormente emancipativo rispetto a ogni presa di posizione contro i crimini che il mercato non smette di perpetrare impunemente, contro gli stermini coloniali e contro le guerre che continuano a essere presentate ipocritamente come missioni di pace. La legalizzazione della droga diventa, per la sinistra serva del capitale, il non plus ultra dell’emancipazione possibile, in un oblio integrale dei diritti sociali e del lavoro. Il problema, per la sinistra, non è più il classismo, lo sfruttamento e il lavoro, ma sempre e solo i diritti civili, l’ecologia, le droghe leggere, i matrimoni omosessuali, il mantenimento rituale dell’antifascismo in assenza conclamata di fascismo. In una parola, il nemico non è mai l’integralismo dell’economia, con tutte le tragedie che esso produce (genocidi finanziari, lavoro flessibile e precario, disoccupazione, sfruttamento, ecc.): del resto, è da ormai almeno vent’anni che si è imposta un’oscena connivenza tra sinistra e capitale; un’oscena connivenza che – non ci stancheremo di ripeterlo – deve indurre ad abbandonare la sinistra al suo tragicomico destino e a ripartire dal marxiano “sogno di una cosa”. Con Marx e Gramsci sempre, giammai con le sinistre fucsia!
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