“Il coraggio della verità, la fede nel potere dello Spirito, sono la prima condizione dello studio della filosofia”.
(G.W.F. Hegel)
Il compito primario della filosofia è di insegnare a pensare con la propria testa. A distanza di sicurezza da pregiudizi, luoghi comuni e presunte verità inerzialmente accettate. La via regia in filosofia, in effetti, è esattamente questa. Difficilissima da percorrere sempre e, a maggior ragione, nell’odierno tempo della “notte del mondo” e del pensiero unico planetario. Perciò occorre sempre diffidare dal coro virtuoso del “si dice” (Heidegger) e dalle narrazioni egemoniche, quali che siano. Perché in fondo, come suggeriva Rousseau, un paradosso è da preferirsi a un pregiudizio. Su ogni tema e in ogni circostanza occorre, dunque, provare a pensare altrimenti, cioè con la propria testa, diversamente da come si vorrebbe che si pensasse. Per esprimere questa esigenza, fondativa di ogni filosofia degna di questo nome, non trovo parole più belle ed efficaci di quelle che seguono e che potrebbero con diritto considerarsi programmatiche di ogni tentativo di pensare altrimenti:
“Pensare è necessario; ma da sé, con la propria testa, criticamente; quindi muovere da sé, e sentire perciò questo sé, che è da custodire e rivendicare da ogni imitazione e forestierume accolto alla leggiera. E per costruire questa testa che è la prima condizione del pensare seriamente, svolgere e attuare dentro di sé quella universalità di costume e di lingua, di memorie e di aspirazioni, e quella volontà che è l’energia politica dell’uomo”.
(G. Gentile, “Frammenti di filosofia”)
In ossequio all’arte del pensare altrimenti, vorrei qui richiamare in forma necessariamente impressionistica e non esaustiva alcuni punti per me fondamentali, a mo’ di tavola valoriale imprescindibile per esercitare la disobbedienza ragionata del pensiero non omologato.
1. Il valore del finito. Siamo enti finiti in un ecosistema finito. Per ciò stesso, l’illimitatezza (del consumo, della produzione, del profitto, del godimento, ecc.) deve essere sempre contrastata. È quanto apprendiamo dai nostri maestri greci. “La misura è la cosa migliore” (métron áriston).
2. La realtà non è presenza data, a cui adattarsi passivamente. È processualità storica diveniente. In quanto tale, può essere trasformata per il tramite della prassi. Occorre pensare la Sostanza come Soggetto (Hegel), il non-Io come posto dall’Io (Fichte): per tornare a concepire soggetto-oggettivamente l’essente.
3. La modalità ontologica fondamentale è il possibile, non il necessario. Il reale non è solo ciò che c’è: ma la somma di ciò che c’è e ciò che potrebbe esserci.
4. Arte, religione e filosofia sono costanti antropologiche insopprimibili, forme dello “Spirito assoluto” (Hegel). Sono forme diverse quanto a modalità espressiva di cogliere il medesimo contenuto, l’Assoluto, la Totalità. L’arte impiega il supporto sensibile, la religione ricorre alla rappresentazione, la filosofia fa uso del concetto.
5. La verità filosofia non è la certezza scientifica. Non corrisponde alla pratica dell’accertare e accettare una realtà data e indipendente da noi. La verità è una questione pratica, connessa con lo sforzo del soggetto teso a portare operativamente l’oggetto a diventare immagine vivente della ragione.
6. Occorre essere internazionalisti nel senso di legati all’idea di un pluriversum cuore di Stati sovrani nazionali plurali, fratelli e rispettosi delle pluralità e delle differenze. Ciò è l’esatto opposto tanto del nazionalismo quanto del mondialismo.
7. A distanza di sicurezza tanto dal mondialismo quanto dal nazionalismo, occorre oggi ripartire dall’interesse nazionale: e quindi dall’unione delle classi lavoratrici e delle classi medie sotto attacco ad opera del capitale finanziario transnazionale.
8. L’umanità esiste nella pluralità caleidoscopica delle sue lingue, dei suoi popoli, delle sue culture, delle sue identità. Il dialogo può esistere solo tra culture e identità diverse: senza che ciascuno dei dialoganti rinunzi alla propria. La mondializzazione sta distruggendo l’idea stessa di cultura, imponendo un’unica (sub)cultura e un’unica identità, quella del consumatore apolide e sradicato, senza gravità e senza coscienza.
9. Tra i compiti del pensiero critico vi è la decostruzione delle ideologie. L’ideologia tende a generalizzare falsamente l’interesse della parte e a nazuralizzare ciò che è storico e sociale. La critica delle ideologie deve contrapporre ai falsi universalismi il vero universale dell’emancipazione umana e deve tornare a porre in essere la capacità di pensare storicamente.
10. L’essere umano esiste nel presente rammemorando il passato e progettando il futuro. È sintesi dinamica, e vivente nel presente, di passato rammemorato e avvenire precorso nella coscienza anticipante. Sena questa triarticolazione temporale, l’uomo non esisterebbe, ma semplicemente sarebbe alla stregua delle cose.