La sdivinizzazione corrisponde a un processo di messa in congedo del divino e del sacro e di convergente ridivinizzazione del mondo saturato dalla forma merce, ipostatizzato in nuovo Assoluto, glorificato dalle omelie neoliberiste, dalla teologica economica e dal verbum misticum dei sacerdoti del management denazionalizzato. Era chiara a Marx, del resto, la struttura intimamente teologica del monoteismo del mercato capitalistico e della sua specifica trinità composta dal valore, dal denaro e dalla merce: “Il valore si presenta improvvisamente come una sostanza dotata di proprio processo vitale e di moto proprio, per la quale merce e denaro sono entrambi pure e semplici forme. Ma c’è di più. Invece di rappresentare relazioni fra merci, il valore entra ora, per così dire, in relazione privata con se stesso. Si distingue, come valore originario, da se stesso come plusvalore, allo stesso modo che Dio Padre si distingue da se stesso come Dio Figlio, ed entrambi sono coetanei e costituiscono di fatto una sola persona”. Ne è scaturito un modello quintessenzialmente teologico, una religione universalista e classista in cui, come già avvertiva Voltaire nelle Lettres anglaises (1734) l’infamante titolo di “infedele” è riservato unicamete ai responsabili di bancarotta. L’economia di mercato, come la divinità monoteistica, non è creata ed è, al contempo, all’origine della creazione del cosmo socio-politico, ponendosi come il primum movens. Ogni realtà materiale e simbolica ne dipende, giacché il Deus oeconomicus figura come il solo Assoluto, come l’incondizionato che tutto condiziona: con le parole di Latouche, “l’economia è diventata una religione”3. Nella sua nuova forma teologica, che ne rivela l’assolutizzazione immanente, il mercato diventa sempre più un imperativo categorico e un simbolo totemico: deve essere praticato ovunque senza esclusioni e, insieme, lo si deve venerare feticisticamente come divinità terrena, come Deus mortalis.
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