Gay-friendly e business-friendly e, insieme, nemiche irriducibili della classe del lavoro e dei frammenti superstiti dell’etica comunitaria, le forze progressiste – ossia in lotta per il progresso del Capitale – si battono oggi contro i residui del mondo proletario (lavoro, diritti sociali, eccetera) e del mondo borghese (eticità e coscienza infelice): e, con movimento simmetrico, assumono come proprie soggettività di riferimento privilegiato quelle coerenti con il nuovo modello antropologico capitalistico post-borghese e post-proletario dell’homo globalisprecarizzato e consegnato al moto permanente della libera circolazione. Di qui l’elogio del migrante come nuovo paradigma dello sradicamento post-identitario e dell’erranza globale, l’encomio dell’individuo omosessuale e transgender come emblema dell’individualismo sciolto dall’etica familiare, l’esaltazione dei diritti civili dell’homo privatus post-comunitario, la celebrazione dello studente open-minded dell’Erasmus Generation mutilo di ogni appartenenza politica e sostenitore del cosmopolitismo edonista senza frontiere. La sinistra demofobica e new global ha voltato le spalle ai lavoratori e alle classi nazionali-popolari per impegnarsi in lotte in difesa dei diritti di gruppi minoritari trasformati in nicchie rivendicative e, peraltro, sempre coerenti con il progetto antropologico capitalistico. È anche per questo motivo che ogni trionfo della sinistra corrisponde, nel quadro post-1989, a una sconfitta per la classe dominata. Ogni richiesta diretta del popolo è, per definizione, populista, illegittima, pericolosa e viene quindi bollata con un’etichetta infamante Le sinistre sono oggi “demofobiche” nella misura in cui hanno perduto ogni connessione sentimentale e ogni rapporto materiale e immateriale con il “popolo”, inteso genericamente come massa nazionale-popolare dei lavoratori e dei subalterni, ossia come gruppo dei dominati al quale vocazionalmente il quadrante sinistro dovrebbe rivolgersi. Ancora ai tempi di Gramsci, suddetto quadrante della politica cantava la virtù delle masse popolari, celebrandone – anche plasticamente, come nell’opera di Pellizza Da Volpedo – la dignità, l’autenticità e il decoro. Nel quadro dell’accumulazione flessibile le sinistre, avendo divorziato dalla massa damnata, condannano inappellabilmente e demonizzano quest’ultima come populista e nazionalista, come xenofoba e sessista, da ortopedizzare in senso politicamente corretto, liberista e cosmopolita, affinché cioè aderisca senza riserve al progetto del Signore neo-feudale. La stigmatizzazione del populismo, così cara alla neolingua, occulta in sé una più generale stigmatizzazione del popolo in quanto tale. Ogni idea e ogni rivendicazione che non emani dall’oligarchia finanziaria e dal suo clero intellettuale di riferimento viene bollata dalla libertaria Sinistra culturale del costume con l’infamante etichetta di “populismo”: sicché ogni richiesta diretta del popolo è, per definizione, populista, illegittima, pericolosa.

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