Occorre iniziare a rendercene conto: il progetto di un Unione Europea, per come viene concepito oggi, è destinato a fallire.
L’uscita della Gran Bretagna è il primo passo di questa inesorabile dissoluzione. E forse, stando alle modalità di attuazione e ai risultati della UE, non è neanche un gran peccato.
I nazionalismi di due paesi in particolare, Francia e Germania, rendono impossibile la creazione di una rappresentanza politica comune che tenga conto delle differenze e delle priorità di tutti i paesi membri, soprattutto i più piccoli.
Nel nostro caso, l’ingresso nella UE – e nell’euro – ha portato indubbiamente dei vantaggi, ma la crescita economica, sociale e culturale del Paese è ferma dal 1999. Intendiamoci, questo per moltissimi demeriti nostri (e della nostra classe politica in particolare) ma anche per una scarsa vicinanza europea, che soprattutto al Nord è troppo incline a etichettare gli stati del Mediterraneo (denominati poco carinamente PIGS) come antropologicamente disprezzabili. Questo atteggiamento di superiorità ha radici storiche precise, che spiegano tra le altre cose il motivo per cui il premier italiano è stato costretto a posare nella recente foto di gruppo scattata al parlamento europeo in seconda fila.
Kant fu il vero ideatore dell’Unione Europea. Per lui però era indispensabile un’unione tra popoli per garantire la pace perpetua. È indubbio che dalla costituzione della UE in Europa non ci siano state più guerre. Ma alcuni popoli, come quello francese, non hanno affatto rinunciato alla voglia di rivivere il periodo di conquiste napoleonico all’esterno dei propri confini (vedesi il caso Libia).
Senza contare che, ad oggi, mancano due delle condizioni poste come imprescindibili da Kant per la realizzazione di un’Europa comune: il federalismo tra Stati e la cancellazione del debito detenuto all’estero.
Riguardo al primo punto, è chiaro che l’Europa di oggi è tutto fuorchè un’unione federale. Questo perchè gli Stati sono stati privati della loro sovranità economico-monetaria, e senza sovranità si ha la perdita di un principio cardinale di tutte le forme di governo democratiche: la parità decisionale.
Ad oggi ci troviamo in una condizione di controllo verticistico, uniformante e “meccanico” dei conti e delle economie dei singoli paesi. Quindi ci troviamo a far la parte dei controllati, e non dei controllori. Ma il controllo della tecnica sulla politica porta a delegare alla prima il peso delle decisioni, con l’inevitabile conseguenza di una snaturazione della politica.
La conseguente perenne emergenza economica, riguardante soprattutto gli Stati del Sud, porta inoltre a trascurare la vera anima dell’Europa, ovvero la sua cultura.
Mi considero un fervente europeista. Questo perchè sento appartenere alla mia cultura le sinfonie di Mahler, il Discorso sul metodo di Cartesio, Aut-aut di Kierkegaard, il Viandante sul mare di nebbia di Friedrich. Tuttavia noto con dolore che la cultura, e con essa di conseguenza l’identità europea, si sta disgregando sotto i colpi del richiamo al rigore economico e dello spread (ne è un esempio il taglio ai fondi per la cultura che è avvenuto in Italia negli ultimi 20 anni).
E questo porta al secondo punto affrontato da Kant. Per la reale attuazione di un’Unione europea occorre cancellare il debito pubblico detenuto all’estero dagli Stati. Questo, a livello più generale, vale anche – se non soprattutto – per gli Stati africani (se vi ricordate era la battaglia di Craxi).
In definitiva, e lo dico da europeista kantiano, occorre valutare se ci sono ad oggi le condizioni per un cambio radicale della politica europea. Che dovrebbe anzitutto prevedere la necessaria, seppur minima, creazione di una politica europea – ad ora inesistente – e in secondo luogo la cancellazione del debito pubblico degli Stati membri detenuto all’estero.
Qualora però non vi fossero le condizioni per questo cambiamento radicale occorre far decidere al popolo se sia il caso o meno di continuare a rimanere nell’euro e nella UE, come avvenuto in Gran Bretagna. Qualora si lasciasse passare l’idea che una simile consultazione sia impossibile sarebbe chiaro che la politica ha lasciato il posto definitivamente alla tecnica, e dunque alla dittatura dell’impersonalità, della medietà, dell’accrescimento continuo della ricchezza e del capitale di pochi.
Luca Pantaleone
Filosofo
I nazionalismi di due paesi in particolare, Francia e Germania, rendono impossibile la creazione di una rappresentanza politica comune che tenga conto delle differenze e delle priorità di tutti i paesi membri, soprattutto i più piccoli.
Senza contare che, ad oggi, mancano due delle condizioni poste come imprescindibili da Kant per la realizzazione di un’Europa comune: il federalismo tra Stati e la cancellazione del debito detenuto all’estero.
Ad oggi ci troviamo in una condizione di controllo verticistico, uniformante e “meccanico” dei conti e delle economie dei singoli paesi. Quindi ci troviamo a far la parte dei controllati, e non dei controllori. Ma il controllo della tecnica sulla politica porta a delegare alla prima il peso delle decisioni, con l’inevitabile conseguenza di una snaturazione della politica.
Mi considero un fervente europeista. Questo perchè sento appartenere alla mia cultura le sinfonie di Mahler, il Discorso sul metodo di Cartesio, Aut-aut di Kierkegaard, il Viandante sul mare di nebbia di Friedrich. Tuttavia noto con dolore che la cultura, e con essa di conseguenza l’identità europea, si sta disgregando sotto i colpi del richiamo al rigore economico e dello spread (ne è un esempio il taglio ai fondi per la cultura che è avvenuto in Italia negli ultimi 20 anni).
Filosofo