Djokovic ha vinto ancora, come si conviene ai campioni. Ha ottenuto l’oro olimpico, che ancora gli mancava. E ora può davvero dire di aver vinto tutto il possibile nella sua eccellente carriera. La sua vittoria rappresenta forse l’unica notizia positiva di queste Olimpiadi parigine, che più che un evento sportivo sono state un grande teatro arcobaleno di rappresentazione dell’ideologia dominante di completamento dell’ordine turbocapitalistico. Djokovic rappresenta per noi non soltanto un eroe sportivo, ma anche un eroe del dissenso e della resistenza all’ordine egemonico. A dire della cricca virologica mediatica, la sua carriera sarebbe dovuta finire tragicamente già da un pezzo, da quando scelse liberamente di non sottoporsi alla benedizione col santissimo siero nel tempo dell’emergenza terapeutica e del nuovo ordine tecnosanitario. I fatti però hanno la testa dura e molto spesso rovesciano spietatamente le narrazioni ideologiche. Così è stato in questo caso. Djokovic ha trionfato, dando a tutti una bella lezione di libertà e di spirito ribelle. Egli ha sempre agito secondo coscienza, rivendicando la propria libertà di pensare e di fare secondo quel che gli diceva la sua testa, che è poi anche il principio fondamentale della filosofia o, come diceva Hegel, la via regia del filosofare. Non possiamo che giubilare per questa vittoria, segnalando come per una volta abbia vinto il libero pensiero sul bieco conformismo ovunque dilagante; conformismo di cui le olimpiadi parigine hanno rappresentato la più teatrale messa in scena in salsa rigorosamente arcobaleno.
(Visualizzazioni 8 > oggi 1)