Secondo il “New York Times”, Kamala Harris sarebbe in vantaggio di ben tre punti su Donald Trump per le elezioni presidenziali statunitensi ormai vicinissime. Sappiamo bene, tuttavia, che i sondaggi non sempre sono affidabili, e d’altro canto nel 2016 davano per vincente Hillary Clinton, ma poi le cose andarono in maniera decisamente diversa. Sia quel che sia, non mi stanco di ripetere come poco cambierà In ogni caso con le elezioni statunitensi: che vinca Trump o che vinca Harris, vincerà comunque il banco neoliberale e imperialista. Del quale Kamala Harris è espressione coerente e non per altro privilegiata dall’ordine dominante e dal clero giornalistico regolare di accompagnamento. Donald Trump, per parte sua, figura come una anomalia del sistema neoliberale, del quale comunque è parte. Detto altrimenti, la salvezza, se vi sarà, non giungerà sicuramente da Washington, ma semmai dal blocco dei paesi disallineati che ormai si stanno sempre più coalizzando uniti non da altro se non dall’esigenza di resistere all’imperialismo della civiltà dell’hamburger. Per quel che riguarda l’Europa, sarebbe ora che si smettesse di ostentare la propria subalternità all’imperialismo di Washington: il buon suddito europeo guarda alle elezioni americane sperando nella vittoria dell’imperatore buono, Traiano, e non di quello cattivo, Nerone, ma mai mette in discussione la propria dipendenza integrale dall’impero. Ecco, proprio questa dipendenza andrebbe seriamente messa in discussione anzitutto a livello teorico. Fintantoché l’Europa rimarrà una colonia di Washington, costellata da basi militari statunitensi, non vi saranno speranze per i popoli europei, condannati alla perpetua subalternità all’imperialismo a stelle e strisce.
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