Nella maggior parte dei casi, nella società classista – Marx docet –, ciò che per i dominanti è male per i dominati è bene: quel che avvantaggia i primi opprime i secondi, e viceversa. Questo assunto, architrave della concezione polemologica biclassista di Marx, vale oggi, a maggior ragione, per la questione della sovranità nazionale intesa sul piano economico, monetario, culturale, geopolitico, militare. Per l’èlite finanziaria delocalizzata e delocalizzante (la nuova classe dominante post-1989), la sovranità è il male più grande, giacché comporta la possibile ripoliticizzazione dell’economia, base ineludibile per una ri-limitazione del capitale e per un suo controllo comunitario e democratico: ed è per questa ragione che, complici le prestazioni intellettuali del clero regolare (giornalistico) e secolare (accademico), viene identificata senza riserve con il ritorno del fascismo e del comunismo “in un solo Paese”. Per i dominati, vale l’esatto opposto: la riconquista della sovranità corrisponde al recupero del potere costituente delle classi sociali deboli e alla riconquista del fondamento reale per una rivoluzione contro le dinamiche della mondializzazione mercatistica e del classismo planetario. È la condicio sine qua non per una contestazione operativa dell’ordine finanziarizzato globale: l’accettazione del campo reale e simbolico del mondialismo e la conseguente delegittimazione delle sovranità nazionali comporta la neutralizzazione di ogni possibile opposizione rivoluzionaria alle logiche del capitale. Più precisamente, la sovranità è la cultura politica che, nel quadro desovranizzante post-1989, può spingere il popolo o, più precisamente, la nuova massa riplebeizzata post-borghese e post-proletaria a riconoscersi come demos, come comunità organica, etica, storica e culturale, in cerca della propria emancipazione reale dalla reificazione capitalistica e dell’attuazione del potere costituente di sé come base oppressa e declassata dalla globalizzazione liberale. Per questo motivo, la sovranità può configurarsi come potere popolare, come capacità delle masse post-borghesi e post-proletarie (la classe in fieri del precariato) di determinare il proprio destino, come volontà politica dei ceti declassati e degli sconfitti della mondializzazione tesa a un recupero del proprio ruolo di protagonisti della storia, alla riconquista delle basi reali per un moto rivoluzionario contro l’ordine materiale e immateriale della globalizzazione capitalistica. Nella cornice dell’ordine in fase di integrale desovranizzazione e di completa deregolamentazione dei mercati, la sovranità nazionale costituisce la base ineludibile per la riconquista dell’indipendenza delle masse popolari pauperizzate e per il ritorno a un controllo politico dell’economia.

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