Gli studenti di filosofia dell’università statale di Milano hanno in questi giorni inaugurato una mostra contro il complottismo e le fake news, naturalmente accolta in pompa magna dalle istituzioni accademiche. Sarebbe interessante discutere filosoficamente con loro su cosa intendano per complottismo e per fake news. Ma probabilmente rigetterebbero con l’accusa di complottismo e di fake news anche una richiesta critica di dialogo su quel tema. Sarebbe bello provare a farli ragionare sul fatto che il silenziamento apriorico di certe opinioni con l’etichetta di fake news e di complottismo rappresenta l’antitesi dello spirito socratico, che invece si determina nella discussione con tutti senza preclusioni: non certo per accettare relativisticamente ogni opinione, bensì per far trionfare la verità contro le idee false. Sarebbe altresì bello dialogare con loro per farli ragionare sul fatto che complottismo e lotta alle fake news sono le due categorie fondamentali con cui l’ordine discorsivo neoliberale prova a silenziare ogni prospettiva dissenziente, subito accostandola alle fandonie di chi dice che la Terra è piatta o che due più due fa cinque (tesi evidentemente deliranti ma che devono essere combattute e vinte con le idee non certo con la mordacchia). Ancora, sarebbe bello dialogare con gli studenti di filosofia dell’università di Milano e discutere con loro del fatto che il contrario di falsità è verità e non censura. E che lotta al complottismo e alle fake news diventa con estrema facilità sinonimo di persecuzione di ogni pensiero diverso da quello che qualcuno ha deciso essere il solo possibile. Ancora, sarebbe bello discutere con loro del fatto che la categoria di fake news presuppone una sorta di scientificità assoluta del mondo dello spirito che in realtà non esiste. Mi spiego. Se è evidentemente una fake news dire che Re Luigi non morì nel 1793 (e anche in questo caso, perché non confutare la menzogna anziché silenziarla preventivamente?), come fare a classificare una fake news in relazione alla interpretazione degli eventi storici? Su che base silenziare come fake news la tesi di chi dice che Re Luigi fu giustiziato da degli eroi o, viceversa, quella di chi dice che fu assassinato da dei barbari? Sarebbe dunque bello discutere con gli studenti di filosofia di Milano e farli ragionare sul fatto che introdurre la lotta alle fake news in filosofia significa uccidere l’ermeneutica. E forse anche la democrazia, se la intendiamo spinozinamente come spazio della libertas phlosophandi (che è anche libertà di errore). Ma soprattutto, più di ogni cosa, sarebbe bello ragionare pacatamente insieme a loro sul fatto che quello che oggi si mira a sconfessare e a squalificare come complottismo non è altro che lo spirito critico, dunque l’essenza stessa della filosofia come problematizzazione del reale. Mica gli studenti di filosofia sono tanto ingenui da pensare che la lotta contro il complottismo sia la lotta contro i capita insanabilia della terra piatta o del due più due fa cinque? Mica sono tanto ingenui da non sapere che la posta in palio è un’altra e coincide con la liquidazione della possibilità di pensare criticamente la realtà sociale, politica ed economica nella quale siamo immersi e che già da tempo, non per caso, viene programmaticamente dichiarata senza alternative (there is no alternative). Insomma, sarebbe bello leggere amichevolmente insieme a loro l’allegoria platonica della caverna, ove si mostra che lo schiavo ideale è quello che si batte alacremente in difesa delle proprie catene.
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