Socrate




Lodo che si distornino gl’italiani dal cieco amore
e imitazione delle cose straniere,
e molto più che si richiamino e s’invitino
a servirsi e a considerare le proprie;
lodo che si proccuri ridestare in loro
quello spirito nazionale,
senza cui non v’è stata mai grandezza a questo mondo,
non solo grandezza nazionale,
ma appena grandezza individuale;
ma non posso lodare che le nostre cose presenti,
e parlando di studi,
la nostra presente letteratura,
la massima parte de’ nostri scrittori, ec. ec.
si celebrino, si esaltino tutto giorno
quasi superiori a tutti i sommi stranieri,
quando sono inferiori agli ultimi:
che ci si propongano per modelli;
e che alla fine quasi ci s’inculchi di seguire
quella strada in cui ci troviamo.
Se noi dobbiamo risvegliarci una volta,
e riprendere lo spirito di nazione,
il primo nostro moto dev’essere,
non la superbia né la stima delle nostre cose presenti,
ma la vergogna. E questa ci deve spronare
a cangiare strada del tutto, e rinnovellare ogni cosa.
Senza ciò non faremo mai nulla.
Commemorare le nostre glorie passate,
è stimolo alla virtù,
ma mentire e fingere le presenti è conforto all’ignavia,
e argomento di rimanersi contenti
in questa vilissima condizione.
Oltre che questo serve ancora ad alimentare
e confermare e mantenere quella miseria di giudizio,
e mancanza d’ogni arte e critica,
di cui lagnavasi l’Alfieri (nella sua Vita)
rispetto all’Italia, e che oggidì
è così evidente per la continua esperienza
sì delle grandi scempiaggini lodate,
sì dei pregi (se qualcuno per miracolo ne occorre)
o sconosciuti, o trascurati, o negati, o biasimati.

Giacomo Leopardi, Zibaldone (24 Marzo 1821) [pagine 865-866]


Citazioni

"A me manca in tutto e per tutto la pazienza di vivere. Perché la mia anima e i miei pensieri sono così sterili, e tuttavia sempre torturati da dolori senza contenuto, voluttuosi e penosi? La lingua del mio spirito non si scioglierà mai in me, dovrò sempre balbettare? Io ho bisogno di una voce penetrante come lo sguardo di una lince, terrificante come il sospiro di un gigante, persistente come il suono della natura, mordente come il sibilo del vento gelido, sinistro come lo scherno impietoso dell'eco, di una gamma che va dal basso più profondo fino ai toni più teneri, modulati a partire dal bisbiglio sacro fino all'energia frenetica. È di questo ch'io ho bisogno per respirare, per esprimere ciò che tengo nell'anima, per scuotere le viscere sia dell'ira come della simpatia. Ma la mia voce è rauca come il grido del gabbiano o spenta come la benedizione sulle labbra di un muto". (S. Kierkegaard, “Aut-aut”)


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