Sulla scia del Novum Organon di Bacone, che aveva destrutturato gli idola, i “pregiudizi” che ingombrano e offuscano la mente umana imepdendole “l’accesso alla verità”, i Quaderni del carcere operano in direzione di una critica demistificante rivolta alle false immagini del reale che ostacolano una corretta decifrazione dell’essenza del reale.
Ai quattro generi di idola identificati da Bacone (tribus, specus, fori, theatri), Gramsci ne aggiunge un quarto genere, che forse potremmo battezzare con il nome di idola naturae.
Tale pregiudizio consiste nell’indebita assunzione di tutto ciò che esiste come se fosse naturale: più precisamente, gli idola naturae sono quelli in forza dei quali le oggettivazioni storiche dell’attività umana vengono surrettiziamente ipostatizzate nella solida forma di realtà naturali, senza storia e, dunque, senza genesi né possibile oltrepassamento.
A questa forma di “idolo” Marx aveva attribuito la definizione di ideologia. Come sappiamo, Gramsci lo segue, ancorché dilati i confini semantici del concetto di ideologia, fino a portarlo a indicare, per estensione, anche il marxismo stesso come visione che conquista le masse e permette il loro esodo dalla passività.
L’ideologia, per Marx come per Gramsci, si presenta come un idolon naturae, giacché riconduce surrettiziamente ciò che è storico e sociale alla dimensione della natura già da sempre data.
Da un diverso angolo prospettico, l’ideologia opera in senso destoricizzante, poiché cancella le tracce della genesi e della determinatezza temporale degli essenti: li presenta come naturalmente dati, indipendentemente dall’attività e dalla storia, e dunque come tali da non dover essere né criticati, né trasformati.
Mediante la duplice e sinergica opera di naturalizzazione dello storico e di destoricizzazione del sociale, l’ideologia anestetizza il cervello della critica e lo “spirito di scissione”: rimuove la capacità di pensare il presente come storia e come possibilità, pietrificandolo in una condizione data e naturale, che semplicemente chiede di essere registrata nella sua bruta fattualità.
Mediante l’intervento dell’ideologia e della sua falsa coscienza necessaria, configurazioni sociali storicamente determinate e situazioni economiche e politiche scaturenti da precisi orientamenti di classi vengono indebitamente intese come realtà interamente naturali, alla stregua dell’andamento dei pianeti e alle eclissi lunari, tali cioè da non poter essere né criticate, né governate.
Assolutizzando l’essere-presente, gli idola naturae lo innalzano al grado di ciò che è sempre stato e che sempre sarà: come se l’esistente esaurisse il campo della possibilità, eternizzando il presente stesso nelle due direzioni complementari di un passato già da sempre colonizzato dalle logiche dell’oggi e di un futuro ridotto a mero spazio della ripetizione tautologica di ciò che attualmente è.
Là dove la ragione dialettica ravvisa la contraddizione classista come esito storico di un processo niente affatto neutro e naturale, ma anzi scaturente dall’antagonismo tra Servo e Signore e, in quanto tale, passibile di trasformazione rivoluzionaria in vista di futuri alternativamente strutturati, la falsa coscienza necessaria dell’ideologia scorge unicamente natura già da sempre data: e, per ciò stesso, esercita la sua funzione di santificazione dei rapporti sociali, presentendo come naturale lo storico, fatale il sociale e intrasformabile la condizione presente. Con la sintassi di Marx, l’economia oggi spoliticizzata non cessa di porre in essere sempre nuove “robinsonate”.
Se la destoricizzazione poteva apparire, al Gramsci dei Quaderni, “uno degli idoli più comuni”, nel quadro post-1989 del capitalismus sive natura essa assurge a grande narrazione del tempo della cosiddetta fine delle grandi narrazioni o, se si preferisce, a ideologia dominante dell’epoca della presunta fine delle ideologie.

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