Il Dio di Hegel si presenta, nelle Lezioni sulla filosofia della religione, come l’affermazione di un Assoluto che racchiude in sé la divinità cristiana, concepita come momento della sua formazione. In particolare, il Figlio svolge il ruolo di mediatore dell’Idea: nega il Padre per poi negare se stesso. La morte di Cristo è la negazione della negazione: più precisamente, la negazione del particolare (Gesù) che aveva negato l’universale (Dio). Con le parole della Filosofia della religione:

“Dio è morto, Dio è stato ucciso – questo è il pensiero più pauroso e inquietante, che non tutto è eterno, che non tutto è vero, che la negazione stessa è in Dio. Il dolore supremo, il sentimento dell’assenza di ogni salvezza, il venir meno di tutto ciò che è superiore, vi è intrinsecamente legato. Ma il cammino della storia di Dio non può arrestarsi qui, ora viene avanti un mutamento radicale (Umkehrung). Dio infatti si mantiene in questo processo, ed esso è ora la morte della morte. Dio ritorna di nuovo alla vita: egli si volge nella direzione opposta”.

Nel transito dal Christus patiens al Christus triumphans si dà il movimento dialettico per cui il Vero diviene se stesso processualmente, come Selbstbewegung, come “auto-movimento” entelechiale: da tale doppia negazione scaturisce lo Spirito, che è universale concreto, divinizzazione del mondo. Lo Spirito è, allora, il terzo non come Persona divina, ma come risultato della duplice negazione dei momenti precedenti: “è per questa Trinità che la religione cristiana sta più in alto delle altre religioni” ed “è sua mercé che la filosofia trova anche in essa l’idea di ragione”. Nelle Lezioni sulla filosofia della religione, Hegel insiste specialmente sulla comprensione quieta e composta dell’Assoluto che la rappresentazione religiosa rende possibile, dischiudendo “lo splendore dell’eterno”. Giova a questo proposito sottolineare come Hegel, in nessuna fase del suo iter intellettuale, abbia cercato di destituire la filosofia a favore della religione (come avverrà con i “vecchi” hegeliani della Destra), né di delegittimare la religione a beneficio della filosofia (secondo il modus operandi dei “giovani” hegeliani della Sinistra e dello stesso Marx). Nel quadro del trionfo della Restaurazione e del rilancio della religione in chiave anti-illuministica e anti-razionalistica, lo Hegel si oppone con forza all’aspirazione della religione alla riconquista del monopolio sulle umane coscienze: la religione resta, a suo giudizio, pienamente legittima, dacché è una figura dello Spirito assoluto. Con la sua soluzione teoretica, Hegel si allontana tanto dalle pretese illuministiche di ridurre la religione a Schwärmerei, a “superstizione” fanatica e a erramento inconciliabile con la raison, quanto dalla dominante, sia pure non esclusiva, concezione cristiana che concepisce la fede come compimento, a un livello superiore, della ragione e che muove dal presupposto secondo cui “matto è chi spera che nostra ragione / possa trascorrer la infinita via / che tiene una sustanza in tre persone” (Purgatorio, III, vv. 34-36).

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