Dopo un lungo ed estenuante tira e molla, l’arcobalenico e vegliardo presidente della civiltà del dollaro, Joe Biden, l’ha fatto: ha ufficialmente annunciato che si ritira dalla corsa per la Casa Bianca. Ancora pochi giorni fa, sosteneva convintamente che mai si sarebbe ritirato e che era il solo titolato a sconfiggere Donald Trump. Anche la sua famiglia lo sosteneva in questa decisione, forse anche per non trascurabili interessi economici legati al ruolo della presidenza. Del resto, nel Partito democratico pare che fosse in atto una vera e propria sommossa da parte di più esponenti acciocché Biden rinunciasse per via della ormai palese scarsa lucidità: scarsa lucidità che lo aveva portato a esporsi a episodi francamente tragicomici, come quando aveva sostenuto di essere la prima vicepresidente nera degli Stati Uniti d’America o come quando aveva farfugliato cose insensate nel dibattito pubblico con l’avversario Donald Trump. Per non parlare poi di quando vagava al G7 pugliese senza meta o di quando precipitava rovinosamente dalle scale del suo aereo. E adesso, dulcis in fundo, Biden annuncia ufficialmente il proprio ritiro. Passa il testimone a Kamala Harris, la quale sembra sotto ogni riguardo intenzionata a continuare senza deviazioni di rotta sulla sciagurata linea finora seguita da Biden: neoliberismo radicale, liberal-progressismo in salsa woke, e soprattutto imperialismo fintamente umanitario rivolto anzitutto contro la Russia e, in prospettiva, contro la Cina. In estrema sintesi, si potrebbe dire senza esagerazioni che Kamala Harris è una Biden al femminile e senza deficit di lucidità, almeno per ora. Insomma, cambia l’orchestra ma non la musica suonata, che resta particolarmente cacofonica per ogni orecchio avverso alle angherie neoliberali, alle oscenità woke e all’infamia dell’imperialismo a stelle e strisce.

(Visualizzazioni 16 > oggi 1)

Di admin