« La mia sofferenza in un certo senso, dipende dal fatto che io veramente non sono un uomo: io sono troppo spirito. A me manca in tutto e per tutto la pazienza di vivere. Perché la mia anima e i miei pensieri sono così sterili, e tuttavia sempre torturati da dolori senza contenuto, voluttuosi e penosi? La lingua del mio spirito non si scioglierà mai in me, dovrò sempre balbettare? Io ho bisogno di una voce penetrante come lo sguardo di una lince, terrificante come il sospiro di un gigante, persistente come il suono della natura, mordente come il sibilo del vento gelido, sinistro come lo scherno impietoso dell’eco, di una gamma che va dal basso più profondo fino ai toni più teneri, modulati a partire dal bisbiglio sacro fino all’energia frenetica. E’ di questo ch’io ho bisogno per respirare, per esprimere ciò che tengo nell’anima, per scuotere le viscere sia dell’ira come della simpatia. Ma la mia voce è rauca come il grido del gabbiano o spenta come la benedizione sulle labbra di un muto. »

S. Kierkegaard, “Aut-aut”

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