Libri di Diego Fusaro
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Su “Vanity Fair” è uscito nei giorni scorsi un incredibile articolo nel quale si prende di mira la nota pellicola natalizia “Una poltrona per due”. Così leggiamo nel titolo: “Ma è il caso di proiettare una commedia così controversa?”. Incuriositi, ci domandiamo che cosa ci possa mai essere di controverso in una pellicola che di fatto è ormai un classico di Natale, fruibile da tutte le generazioni. Ce lo spiega in termini surreali il seguito dell’articolo: “Razzismo, «N-word», blackface, donne rappresentate come oggetti”. Insomma, possiamo ben dire, a questo punto, che nessuno è più al sicuro rispetto alle mire nichilistiche della cosiddetta cancel culture: traduzione consigliata non già “cultura della cancellazione”, bensì “cancellazione della cultura”. Nel ripugnante fenomeno della cancel culture si esprime perfettamente il nichilismo dell’epoca del dominio assoluto della forma merce: la forma merce si fonda sul nulla, poiché non ha cultura e identità, ma solo illimitata circolazione e infinita autovalorizzazione del valore. Per questo, unendo le grammatiche di Nietzsche con quelle di Marx, possiamo ragionevolmente sostenere che Dio muore al mercato, ossia nel trionfo totale e totalitario della forma merce quale oggi si sta registrando nella civiltà tecnocapitalistica. Di ciò la cancel culture è espressione: nel suo movimento generale, essa aspira a cancellare il passato e a riscrivere la storia orwellianamente sul fondamento dei gusti e delle sensibilità del presente, con un vero e proprio imperialismo del presente rispetto al passato. Con la sintassi del filosofo Roger Scruton, si potrebbe con diritto parlare di oikofobia, ossia di odio dell’Occidente per la propria provenienza e per le proprie radici: in maniera non differente, già da tempo parliamo espressamente di uccidente, con ciò alludendo alla pulsione distruttiva e autodistruttiva di una civiltà, la nostra, che sta tramontando in forme palesemente non serie, come tra l’altro dimostra anche questa pur secondaria vicenda dell’attacco alla pellicola “Una poltrona per due”.