La neutralizzazione delle identità solide ed eventualmente resistenti si pone come il piano indifferenziato ideale per la genesi del nuovo supermarket delle identità: nei cui perimetri ciascun individuo, privato del proprio profilo identitario, può assumere senza opposizione quelli che il sistema pubblicitario, a seconda delle offerte del momento, gli consiglia per adattarsi camaleonticamente alle “sfide” della globalizzazione in veste di “cittadino del mondo”, come viene appellato il nuovo apolide delocalizzato e con radicamento territoriale interdetto. La centrifugazione consumistica delle identità collettive si realizza nell’omogeneizzazione delle moltitudini astratte, senza identità e senza patria, senza radici e senza coscienza, “gadgettizzate” e “colorate”. Nel tempo delle identità decostruite e delle vite per frammenti, la stessa biografia individuale è ridefinita come un fascio di traiettorie multiple, che si snoda tra percorsi biografici tra loro interdipendenti, costellati da transizioni che segnano più o meno profonde discontinuità, rotture e rimodellamenti che, per poter avvenire, necessitano dell’avvenuto congedo da ogni precedente identità solida e stabile. Ne scaturiscono vere e proprie patchwork biographies, come sono state definite, che costringono il soggetto ad alleggerirsi di ogni identità stabile e di ogni progettualità a lungo termine, facendo della propria narrazione biografica l’equivalente della tela di Penelope: ininterrottamente tessuta, disfatta e ritessuta nel racconto soggettivo e nella pratica oggettiva, la “tela dell’identità” dell’uomo post-identitario è, alla stregua della sua esistenza obiettiva, soggetta a una stabilizzazione rinviata sine die. L’ontologia sociale del soggetto è disgregata – decostruita, direbbe Derrida – e, con essa, la sua possibilità di essere un’unità discreta e coerente.

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