Tra i paradossi che accompagnano la condizione precaria vi sono pure l’estrema singolarità e la radicale individualizzazione dei soggetti, eterogenei e versatili, mobili e instabili, senza continuità e coscienza consolidata. Ciò che accomuna i precari pare darsi solo in negativo come assenza di una stabilizzazione contrattuale ed esistenziale e, dunque, come un oscillare permanentemente tra l’interno e l’esterno del mondo del lavoro, tra l’inclusione e l’esclusione del regno della cittadinanza. In effetti il precariato si fonda, anche a livello semantico, su una identificazione per difetto. Allude a tutto ciò che, per via dell’instabilità cui è sottoposto, è a rischio di esclusione e condannato a un’insicurezza costante. I precari si definiscono unicamente in negativo a partire da ciò che non sono (stabilizzati), dalle tutele di cui mancano (garanzie lavorative e assistenziali), da ciò che non possono permettersi (progetti a lungo termine, eticità della fase borghese e proletaria), dalla privazione che intrinsecamente sono. Anche questo contribuisce a rendere ardua una coscienza di classe, ma poi anche solo la costruzione di un racconto collettivo, di una narrazione alla prima persona plurale, sottratta alla presa dell’io isolato nella società individualizzata dell’insocievole socievolezza di marca neo-darwiniana. Manca una narrazione di classe che si avventuri al di là dei semplici diari e dei meri racconti individuali della propria tragedia esistenziale di intermittente Per queste ragioni, si registra oggi, nel tempo del grado zero della speranza sociale, l’assenza di una narrazione di classe che si avventuri al di là dei semplici diari e dei meri racconti individuali della propria tragedia esistenziale di intermittente. Per un verso disponiamo di resoconti della condicio precaria che optano per il paradigma vittimario: presentano i singoli precari – senza mai fare menzione di una classe – come soggetti a vite di scarto e a indecenti ferite dell’esistenza. Non li si concepisce mai come parti integranti di una classe che, oltre a subire realmente lo sfruttamento flessibile, è portatrice di una potenziale contestazione radicale dell’ordine dell’accumulazione flessibile. La tendenza vittimistica e lacrimevole prevale puntualmente su quella antagonistica, rivendicativa e rivoluzionaria. Ciò rivela, una volta di più, la subalternità ideologica nella quale versa attualmente la massa precarizzata degli ultimi. Al di là delle singole disavventure, le contraddizioni sistemiche si risolvono mediante il loro trascendimento pratico e organizzato socialmente Per un altro verso, abbondano in forme ipertrofiche le biografie dell’io individuale che racconta, con uno stile in bilico tra il comico e il tragico, le proprie disavventure di lavoratore precario, sempre presentate come disagi individuali e non come contraddizioni sistemiche. Ancora una volta, se i primi si superano lavorando su di sé e promuovendo l’adattamento come unica strategia consentita, le seconde si risolvono mediante il loro trascendimento pratico e organizzato socialmente. L’individualizzazione neoliberista, la privatizzazione della vita sociale e l’interruzione del legame comunitario, solidale e di classe disinnescano preventivamente la possibilità di una reazione corale e politica rispetto all’offensiva ininterrotta dei signori della mondializzazione. Il counseling filosofico e il lettino dello psicanalista sostituiscono il partito politico e i movimenti rivendicativi. Per questo, troppo spesso i lavoratori precari, umiliati e mortificati, non reagiscono con forme solidali come lo sciopero prolungato e il blocco della produzione, ossia con strumenti efficaci, in grado di ottenere risultati apprezzabili a livello di classe.
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