Socrate

Sta facendo molto discutere, in questi giorni, la proposta di legge avanzata dalla sinistra neo-liberale, atlantista e filobancaria e, segnatamente, da uno dei suoi paladini storici, Dario Franceschini. “Ai figli solo il cognome della madre”, dice precisamente la proposta di Franceschini: in buona sostanza, secondo lo spirito della proposta in questione, bisognerebbe abbandonare secoli di tradizione europea, secondo cui ai figli si dà il cognome del padre, per cominciare ad assegnare ai nascituri solo il cognome della madre. La ratio della surreale e, a nostro giudizio, demenziale proposta riposerebbe nella volontà di porre in essere un “risarcimento per un’ingiustizia secolare”. Peccato però che per produrre questo risarcimento all’ingiustizia secolare si andrebbe a compiere una nuova ingiustizia, cosa che forse sfugge a Dario Franceschini. Come non mi stanco di sottolineare da tempo, un cubo rovesciato resta pur sempre un cubo: e, in termini analoghi, un femminismo così inteso non è altro se non un maschilismo di segno opposto. Detto altrimenti, per correggere il maschilismo si fa valere una logica analoga, dove però il prius spetta alla donna e non più all’uomo. Va da sé che il vero femminismo dovrebbe consistere nel produrre pari dignità tra uomo e donna, non certo nel rovesciare l’unilateralità del maschile nell’unilateralità del femminile. E non credo che serva un dottorato in logica presso l’Università di Oxford per capire questa banale ovvietà. Come ho sostenuto nel mio libro “Il nuovo ordine erotico”, il contemporaneo femminismo neoliberale non mira in alcun modo a produrre la pari dignità tra uomini e donne, ma punta unicamente a decostruire l’idea del maschio per imporre la nuova figura del fluido resiliente. Non più dunque il proletariato che virilmente si batte nelle piazze conquistando diritti sociali, ma una massa amorfa di soggetti eunucoidali che subiscono in silenzio e magari anzi ringraziano il potere: secondo il programma di Davos, nel 2030 non avranno più nulla e saranno pure felici. Dietro alla lotta al patriarcato, che peraltro non esiste più in Europa da almeno 70 anni, si nasconde soltanto la lotta capitalistica contro la famiglia a beneficio della individualizzazione neoliberale di massa: di modo che la comunità solidale sia del tutto sostituita dalla contiguità spaziale di atomi in competizione. Non sfugga poi un ulteriore tratto a mio giudizio decisivo: ancora una volta, la sinistrash volta le spalle a Marx, a Gramsci e alle classi lavoratrici per occuparsi di questioni che nemmeno sfiorano la contraddizione di classe su cui si regge la società capitalistica. Schwa, asterischi e cognomi al femminile: sono queste le irrilevanti battaglie di una sinistrash che sempre più figura come la guardia fucsia del capitalismo egemonico e delle classi dominanti sulla plancia di comando. Una sinistrash che, non mi stanco di sottolinearlo, sembra ormai aver superato perfino la destra (anzi, destrash) nella difesa a oltranza dell’iniquo ordine dominante della globalizzazione turbocapitalistica.

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