Scristianizzazione del mondo, desacralizzazione della vita e sdivinizzazione dell’essere accompagnano il destino dell’uomo occidentale al tempo del capitalismo assoluto. Quest’ultimo, fondato sul nichilismo relativista e sulla volontà di potenza tecnoscientifica, non solo non deve più, come un tempo, fondarsi sulla religione come instrumentum regni, ma pare necessariamente promuoverne l’estinzione. In ciò è da ravvisarsi il segreto, nonché la chiave ermeneutica fondamentale (sia pure non esclusiva), per comprendere quel processo che Nietzsche qualificava come “morte di Dio” e che, da una diversa prospettiva, il Sergio Quinzio del Silenzio di Dio (1982) etichettava come “l’immane fenomeno storico della scristianizzazione del mondo”. Nuovo oppio del popolo, l’ateismo rivendicato o, più spesso, l’indifferenza rispetto ai tradizionali temi della fede e del sacro paiono figure egemoniche nel tempo del consumismo aprospettico e del fare irriflesso della tecnica: nei cui spazi reificati pare essersi eclissata ogni domanda di senso e di ulteriorità rispetto a un impianto complessivo – il Gestell di cui scriveva Heidegger – che si limita a funzionare e a produrre, a crescere e a generare un’infinita fantasmagoria di desideri e di scopi tutti interni all’impianto stesso. Nell’impero dell’utile e dell’impiegabile, implode la domanda sul senso dell’essere e sulla verità ultima delle cose: e, così, nella nostra secular age, come l’ha appellata lo studio di Charles Taylor, tutti calcolano, pochi pensano e ancora meno credono. Parafrasando Hegel, lo “spirito del tempo” (Zeitgeist) coincide oggi con un tempo senza spirito.
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