Bisogna più che mai chiamare le cose col proprio nome evitando la neolingua con cui il potere legittima e glorifica i suoi crimini. Tale neolingua, giusto per capirci, è quella che oggi chiama “riforme” la distruzione lineare del mondo dei diritti e del lavoro e appella con la nobile etichetta di “buona scuola” la distruzione degli istituti scolastici e universitari mediante la loro sempre più accentuata aziendalizzazione. Chiamiamo le cose col loro nome, per piacere. Non facciamoci prendere in giro anche a livello linguistico. In nome di questo aureo principio del chiamare le cose con il loro nome, evitiamo, dunque, di seguitare oltre nella farsesca opera di camuffamento della realtà in cui siamo. Che è una realtà terribile, soprattutto dopo il 1989: quando vinse e stravinse non la “libertà” – come sempre ci raccontano –, bensì l’economia di mercato non più limitata. Con tutte le “tragedie nell’etico” (Hegel) che ne seguirono e che anche oggi non cessano di prodursi, sempre ai danni dei lavoratori e dei deboli. Chiamiamo, allora, le cose col loro nome: “Bail in” non significa altro che salvataggio delle banche rapinando i loro clienti. Forse così diventa finalmente più chiaro, evitando il “latino rum” dell’inglese liturgico dei mercati, la cui duplice funzione è a) di non far capire alle masse il crimine che stanno subendo, b) di conferire un tono autorevole e assai british a quelli che sono, in realtà, truffaldini processi di rapina bancaria gestiti dai dominanti ai danni dei dominati. Aveva ragione Proudhon, quando diceva che è solo nominale la distinzione tra un banchiere e un usuraio: la sua riflessione diventa vera oggi, nel tempo delle rapine bancarie legalizzate con cui l’élite rapina letteralmente i lavoratori, i ceti medi e i risparmiatori. E mentre questi crimini avvengono i “circenses” mediatici, il clero regolare giornalistico e il clero secolare intellettuale tacciono solennemente, parlando di “bail in” (per non far capire nulla alle masse depredate) o additando fascismi e comunismi come unici permanenti pericoli da evitare. Farebbe ridere se non facesse piangere. Insomma, chiamare le cose col loro nome aiuta a gettare luce sul “tempo della miseria” in cui viviamo, per dirla con Hoelderlin, il tempo della “notte del mondo” evocato da Heidegger, il tempo del buio totale. Forse così diventa chiara l’essenza del nostro mondo, in cui l’èlite neo-oligarchica dei signori globalisti distrugge i lavoratori e le classi medie attraverso la precarizzazione forzata del lavoro e rapine legalizzate ai danni dei risparmiatori. E la società si rifeudalizza rapidamente, nella forma di un nuovo, terrifico “Sacro romano impero della finanza” il cui dominio tende a farsi sempre più globale e incontrastato.
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