Il capitalismo non è malato: è la malattia. I suoi cinici agenti dapprima distruggono e destabilizzano gli Stati africani con imperialismi etici e bombardamenti umanitari. Così costringono i popoli alla fuga e allo sradicamento. Poi deportano suddetti popoli con navi private, umanitarie quanto i bombardamenti di cui sopra. Nella sua opera di rapina, il capitale ovviamente agisce sempre a fin di bene, ci mancherebbe. Deportati i popoli, li sfrutta senza pietà, come accade nelle piantagioni di pomodori o, in questi giorni, a Cremona. Così può poi anche sfruttare meglio la manodopera locale, costringendola a competere al ribasso coi deportati, con i descamisados della mondializzazione. Di più, può trionfare: la lotta ora è orizzontale, tra africani sfruttati ed europei sfruttati. Gli sfruttatori si godono lo spettacolo. E si assicurano che i circensi dello spettacolo permanente seguitino nella loro narrazione edulcorante e falsata, basata sui falsi miti della integrazione e della accoglienza, dei salvataggi in mare e delle chances della mondializzazione. Tutto questo perché gli schiavi, anziché ribellarsi, amino le proprie catene e siano anzi pronti a battersi contro chi davvero volesse ribellarsi.
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