La mia tesi è che l’ordine di staccare la spina al governo gialloverde sia arrivato dall’alto. E da più parti. Dalla Ue, senz’altro: la quale da subito prese di mira il laboratorio populista gialloverde. Si veda ad esempio il penoso dialogo di Conte con la Merkel, in cui le chiede che fare, e si veda ancora il penoso voto dei 5Stelle alla Von Der Leyen, vestale del liberismo targato Ue. L’ordine è anche arrivato dagli Usa, che mal sopportavano questo laboratorio populista, aperto al sociale e disposto a guardare oltre rispetto a Washington (Russia, Cina, Venezuela). Qual era, del resto, il reale motivo del viaggio americano di Salvini, giusto appunto poco prima di dare il via allo psicodramma collettivo che è culminato nell’implosione gialloverde? Alla fine, sia Salvini, sia Di Maio, sia Conte hanno tutti – sottolineo tutti – fatto in modo che l’esperienza gialloverde crollasse. Hanno con ciò rivelato che era esplosiva e incontrollabile per i padroni del vapore. E hanno insieme rivelato di non essere loro del tutto incontrollabili. Se ci pensate, Salvini non aveva alcuna reale ragione per fare quello che ha fatto: era un gesto anzitutto contro la Lega il suo (oltre che ovviamente contro il laboratorio gialloverde in sé). E infatti ora la Lega si troverà all’opposizione. Era, dunque, un gesto che solo si spiega in nome di ordini superiori, che non conosciamo, ma senza i quali resta sine ratione la scelta di Salvini. Meglio fare qualcosa per il Paese, come stavano facendo con il 5Stelle, o fare solo opposizione, come sarà la Lega ora costretta a fare? Una parte della mia previsione si è comunque già avverata: la fine del laboratorio gialloverde porterà al ritorno di destra e sinistra, con vittoria egualmente garantita per il partito unico del capitale. E con ovvio riallineamento del 5Stelle con le sinistre fucsia cosmopolite e della Lega con le destre liberiste. E ora infatti sta per nascere il governo giallofucsia, con Pd e 5Stelle. Più Europa e più onestà, questo sarà il motto. I pilastri dell’ordine globalista saranno rispettati appieno: liberismo in economia, subalternità a Ue e Washington (ben sottolineata da Conte nel suo discorso), abbandono di ogni populismo (era il cuore del discorso di Renzi, rivolto obliquamente a mo’ di avvertimento ai 5Stelle), rinunzia a ogni figura della sovranità nazionale, da Conte liquidata come pericoloso sovranismo e come “sterili ripiegamenti identitari”. La Lega, per parte sua, mi pare essa stessa in un vicolo cieco: nemica di Bruxelles, ma subalterna a Washington; nemica del cosmopolitismo, ma piegata al liberismo. E, infatti, per l’economia il nome fatto dalla Lega non era quello del saggio Bagnai, keynesiano, bensì del liberista impenitente Giorgetti. E proprio ieri Paolo Savona, per incidens, proponeva candidamente (“stop a sanità gratis per chi può pagare”) di distruggere di fatto il sistema sanitario, base del welfarismo italiano. Insomma, il modello è la Thatcher, non Keynes. In conclusione, a mio giudizio non se ne esce. La partita è chiusa. Qualsiasi mossa sarà fatta, vincerà il banco del partito unico del capitale. La sola variabile imprevedibile è la genesi di un movimento di massa che sia populista, sovranista e socialista, ispirandosi alle esperienze bolivariane dell’America Latina. Che invochi la sovranità come base per la democrazia e i diritti. E che invochi il popolo come titolare della sovranità. Per ora, questo movimento manca. E, alla luce della tragedia che si è consumata in questi giorni con il crollo gialloverde, non possiamo non fare nostre le parole di un’antica canzone, cantata dai contadini
tedeschi sopravvissuti alla
sconfitta nella battaglia di
Frankenhausen (1525): “Torniamo a casa
sconfitti. I nostri figli
combatteranno meglio di noi”.
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