Non più il proletario di Marx, in cerca della propria emancipazione dall’alienazione capitalistica, né il borghese di Hegel, radicato nella vita etica, ma l’Oltreuomo di Nietzsche, che trasvaluta col martello tutti i valori e fa valere la volontà di potenza, diventa il soggetto di riferimento del turbocapitalismo postmoderno. È questa, au fond, l’antropologia delle nuove masse desideranti e postmoderne degli oltreuomini narcisisti e gaudenti, abitatori di una open society sempre più simile a una gabbia d’acciaio, la cui apertura per l’individuo è coestensiva rispetto al suo potere d’acquisto. I soggetti che ancora siano inappagati nella gabbia d’acciaio, per parte loro, non aderiscono alle figure dell’indocilità ragionata della dialettica di Hegel e di Marx, consapevole che – con l’Enciclopedia (§ 81) – il finito non può essere assolutizzato dacché, nel ritmo del divenire, sarà superato: ricadono nella figura weberiana della Entzauberung (il “disincntamento” di chi è convinto che dalla gabbia non si possa evadere) e, insieme, in quella della Tecnica di Heidegger e dei suoi epigoni (Severino, Galimberti). La Tecnica di Heidegger è il capitalismo di Marx pensato come non oltrepassabile in virtù della prassi del Soggetto: sicché l’inconciliazione teorica di chi è inappagato dall’inautenticità della Tecnica trapassa poi puntualmente nella conciliazione pratica scaturente dalla convinzione che essa debba essere destinalmente accettata. Se per gli alfieri dell’incoscienza felice postmoderna il mondo della scissione è il migliore (e si ha, allora, l’apologetica diretta), per quelli della Tecnica heideggeriana è il peggiore, ma è anche il solo possibile (e si ha, quindi, un’apologetica indiretta).

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