Il lemma deregulation potrebbe essere assunto con diritto come le mot d’ordre della globalizzazione liberal-finanziaria. In esso, non meno che nella figura della privatizzazione della moneta, si cristallizza la tendenza fondamentale del nuovo spirito del capitalismo, che non è più borghese e autoritario, patriarcale e formalmente gerarchico, ma che al contrario si caratterizza, sempre più marcatamente a partire dal Sessantotto, per il suo carattere apertamente anarchico e permissivo, lasco e progressista: “neoliberismo progressista”, la formula coniata da Nancy Fraser, esprime in modo adamantino l’essenza del nouvel esprit du capitalisme, in cui – con una perfetta divisione del lavoro – l’ala destra della deregolamentazione finanziaria e l’ala sinistra della deregolamentazione antropologica e morale risultano reciprocamente innervate. Le due istanze del free trade e del free desire si rovesciano dialetticamente l’una nell’altra. Infatti, per mutare senza interdizioni tutto e tutti in valore di scambio, secondo la dinamica della neoliberalizzazione del mondo della vita, il capitale deve farsi progressista e gauchiste, decostruendo tutti i tradizionali legami comunitari e familiari, statali e tradizionali ancora in grado di ostacolare la valorizzazione del valore e il suo impadronimento di ogni cellula del reale e del simbolico. Nell’ordine del turbocapitalismo, autoritarismo repressivo e permissivismo edonistico coesistono dialetticamente: e producono un paesaggio altamente alienato, nei cui spazi i nuovi campi d’internamento convivono con le caffetterie in franchising, la deregolamentazione finanziaria con la riregolamentazione ossessiva della vita dei sudditi. In effetti, l’ordine del global-capitalismo pare sempre più in difficoltà anche per quel che riguarda la gestione dei diritti fondamentali della dottrina liberale, che dopo il 1989 vanno contraendosi e non espandendosi, confutando la tesi di Bobbio sull’“età dei diritti”. A un’analisi del paesaggio neoliberale, si registra un doppio arretramento, che investe il côté della libertà in misura non inferiore a quello dell’uguaglianza: quasi come se il capitale, nell’atto stesso con cui conduce la sua offensiva al mondo del lavoro e del sociale, dovesse in pari tempo comprimere la sfera dei diritti individuali e delle libertà, con un revival autoritario. Emblematica, a tal riguardo, è la crescente limitazione del diritto di sciopero, degradato mediaticamente al rango di ignobile privilegio e di lusso immeritato. In maniera sia compensativa, sia distrattiva (ma poi anche in coerenza con la sua stessa logica di sviluppo onnimercificante), il turbocapitale promuove e incentiva i “diritti arcobaleno” (rainbow rights), ossia i capricci di consumo individuale – dagli uteri in affitto alla legalizzazione delle droghe – che non solo non interferiscono con la sua logica, ma che anzi la potenziano. E che vanno a sostituirsi ai diritti sociali e a quelli civili in fase di evaporazione.
(Visualizzazioni 7 > oggi 1)