Come prevedibile, i giornali europei ne stanno parlando pochissimo, quasi oscurando la notizia o comunque marginalizzandola. Mi riferisco alle grandi proteste che si sono svolte in questi giorni in Romania per via delle elezioni annullate. Come sappiamo, infatti, le elezioni in Romania sono state recentemente dichiarate nulle per presunte interferenze russe; interferenze russe che – non meglio chiarite, comunque – avrebbero determinato la vittoria di un personaggio chiaramente orientato in senso filoputiniano e antiatlantista. Dunque, si è stabilito che le elezioni debbano essere rifatte, con l’atteggiamento puerile del fanciullo che pretende che i dadi vengano tirati ripetutamente, fintantoché non esca il numero da lui desiderato. Secondo quanto già abbiamo sottolineato, peraltro con una certa preoccupazione, si è spalancata una nuova insidiosissima finestra di Overton: d’ora in avanti, è legittimo immaginare che verranno giudicate legittime in Europa solo quelle elezioni che vedranno vincenti forze liberali, atlantiste ed europeiste? E si può ancora definire democratica una condizione di questo tipo, in cui le elezioni sono ammesse a patto che vincano le forze gradite all’ordine dominante? Sia quel che sia, il popolo della Romania non ci sta e adesso scende in piazza a esprimere il proprio dissenso rispetto all’annullamento delle elezioni: dissenso che ci pare pienamente ragionevole e che ci induce a solidarizzare massimamente con il popolo della Romania e, soprattutto, con quello sceso in piazza a Bucarest e in altre città del Paese. Il fatto che, come ricordavo, la notizia venga quasi nascosta dagli organi della propaganda ufficiale e dai monopolisti del discorso politicamente e geopoliticamente corretto non deve destare sorpresa, essendo l’ennesima conferma del fatto che l’ordine giornalistico non svolge se non la parte di completamento ideologico dei rapporti di forza dominanti nel quadro del turbocapitalismo atlantista ed europeista. Circo mediatico e clero giornalistico sono in effetti una parte fondamentale della conservazione del consenso per le classi dominanti della globalizzazione neoliberale.
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