Su “La Repubblica”, rotocalco turbomondialista e voce del padronato cosmopolitico, compare in questi giorni un surreale articolo in cui Putin e XI Jinping vengono qualificati sprezzantemente come dittatori. Si tratta della solita logora retorica liberal-atlantista, in coerenza con la quale dittatore è chiunque non si pieghi alla volontà di Washington e provi a mantenere la propria sovranità e la propria indipendenza rispetto alla potenza imperialistica del dollaro. L’ordine discorsivo neoliberale risulta effettivamente puerile eppure continua ad avere una sua tenuta. Si muove con dogmatiche categorie manichee che contrappongono il bene e il male, naturalmente sempre identificando il bene con l’occidente a guida atlantista e il male con tutto ciò che non rientri nel suo ordine. Celebra l’ordine occidentale come democrazia perfettamente compiuta e delegittima come dittatura tutto ciò che non rientri negli spazi imperialistici dell’Occidente stesso. Eppure, democrazia e dittatura, lungi dall’essere categorie stabili dell’intelletto astratto direbbe Hegel, chiedono di essere intese dialetticamente nella concretezza storica. Chi esercita realmente una istanza democratica nel contesto concreto, gli Stati Uniti che aggrediscono gli stati disallineati a Washington o la Cina che offre appoggio ai popoli resistenti a Washington? Ancora, svolge davvero un’istanza democratica la civiltà del dollaro quando impone alle sue colonie di impegnarsi in guerre imperialistiche volute solo da Washington per il proprio interesse? Ed è davvero democratica la civiltà del dollaro, che ogni giorno di più appare simile a una plutocrazia in cui comanda il capitale e nient’altro che il capitale?
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