Mi sto rileggendo con calma Benedetto Croce. Filosoficamente non è ai livelli di Giovanni Gentile, ma resta in ogni caso un gigante della filosofia italiana del Novecento. Ritengo di poterlo considerare forse il solo pensatore liberale di cui abbia una stima immensa. Le sue considerazioni sull’arte restano originali e geniali. La dialettica dei distinti mi pare invece si fondi su un equivoco intorno alla dialettica degli opposti dello Hegel, per il quale, checché ne dica il Croce, le figure dello spirito non si risolvono l’una nell’altra come se appunto l’arte “morisse” nella filosofia. Enorme merito del Croce sta nell’aver compreso l’importanza imprescindibile della storicità, alla quale egli perviene per il tramite di uno Hegel riletto attraverso il marxismo a cui lo aveva fatto avvicinare il Labriola. La realtà per il Croce non è mera presenza da descrivere scientificamente, ma processo storico in atto, in cui ogni essente figura come un diveniente. Certo, la scoperta crociana della storicità degli enti porta il nostro autore all’estremo di uno storicismo assoluto, per cui tutto è storia e nient’altro che storia e la filosofia stessa si risolve nella storia. Sicché, come per Gentile, anche per Croce credo si possa legittimamente parlare di una “controriforma” della dialettica hegeliana. Sul piano politico, mi pare piuttosto debole la sua insistenza liberale sull’individuo come superiore allo Stato: una soluzione egualmente unilaterale rispetto a quella del Gentile, che aveva per parte sua risolto l’individuo totalmente nello Stato. Anche sul piano politico, lo Hegel mi pare preferibile al liberalismo del Croce e al fascismo del Gentile: il primo enfatizza esageratamente l’individuo, il secondo lo Stato, laddove lo Hegel trova la sintesi virtuosa fra i due elementi, ammettendo il primato dello Stato e, insieme, l’irriducibilità della società civile nella cerchia dello Stato.
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