Totem della politica e dell’intellettualità di una sinistra oggi eletta dall’élite globalista a proprio riferimento privilegiato, l’ideologia del progresso come mito fondativo dell’avanzamento lineare connotato come oltrepassamento di tutto ciò che ancora resiste all’estensione illimitata della forma merce – e che, in quanto tale, è delegittimato come “anti-moderno”, “reazionario” e “vetero-borghese” – risulta pienamente funzionale alla sovranità irresponsabile dell’economia monoteistica, all’abbandono di ogni prospettiva di classe al trionfo incontrastato della dinamica di liberalizzazione privatistica dei consumi e dei costumi nel nuovo bazar consumistico del free trade e del free desire. Abbandonando la difesa del lavoro, dei diritti sociali e degli interessi del Servo (in una parola, la difesa dell’emancipazione), le sinistre hanno aderito alla lotta in nome del progresso, ossia della modernizzazione capitalistica difesa dall’élite neo-feudale a proprio vantaggio esclusivo. Ridotta alla sua matrice essenziale, l’ideologia del progresso identifica l’avanzamento assiologicamente con il miglioramento e politicamente con il superamento delle vecchie forme non ancora mercantilisticamente ridefinite. L’immaginario colonizzato delle masse precarizzate anche nella coscienza identifica senza residui capitalismo e progresso, evoluzione e distruzione dei limiti all’economicizzazione totale del mondo della vita. Chiama progresso il processo che fa “progredire” unicamente la classe dominante neo-oligarchica, determinando regresso e deemancipazione per il resto dell’umanità e, sempre più spesso, del pianeta. Così inteso, il progresso – secondo un tema già sviluppato da Pasolini – corrisponde all’ideologia di riferimento del Signore, là dove l’emancipazione dovrebbe costituire quella del Servo e del suo partito di riferimento. L’emancipazione identifica il miglioramento non con il semplice avanzamento lineare e con la mera distruzione delle forme passate, bensì con le pratiche tutelanti la dignità del Servo e favorenti la sua liberazione non dalle vecchie forme (ove queste concorrano, appunto, a tutelare la dignità dei lavoratori), bensì dall’oppressione capitalistica. L’emancipazione è, per questo, oggi incompatibile con il progresso, a cui pure nella fase dialettica si era in parte accompagnata: le categorie del progresso (mondializzazione, competitività, liberalizzazione, modernizzazione dei costumi, privatizzazione, eccetera) sono attualmente quelle mediante le quali si nega permanentemente l’emancipazione alla parte dominata e, di più, si rinsalda programmaticamente la sua subalternità. Secondo le logiche del progresso, il superamento della potenza etica dello Stato, dei sindacati, della scuola e della sanità pubbliche sono fenomeni positivi Secondo le logiche del progresso, il superamento della potenza etica dello Stato, dei sindacati, delle limitazioni politiche al competitivismo assoluto, della scuola e della sanità pubbliche, sono certamente fenomeni positivi di superamento delle vecchie forme e di avanzamento della post modernizzazione capitalistica. Secondo le logiche dell’emancipazione, invece, quei processi sono intrinsecamente negativi, giacché favoriscono l’intensificarsi – e non il ridursi – dell’intensità dello sfruttamento, della disuguaglianza, dell’oppressione e dell’impedimento di una democrazia comunitaria di individualità egualmente libereAnche per questo motivo, in coerenza con il dispositivo della ricategorizzazione del reale, occorre abbandonare il mito del progresso e assumere come riferimento il valore dell’emancipazione: la quale, in antitesi con il progresso, non può non costituirsi sul fondamento della risovranizzazione, della ripoliticizzazione dell’economia e della rieticizzazione della società.
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