ALBUM DEI FILOSOFI
“L’essenza dell’uomo consiste unicamente nella libertà assoluta, ché l’uomo non è né cosa, né fatto, e nel suo essere autentico non può essere in alcun modo un oggetto” (F.W.J. Schelling, Dell’Io come principio della filosofia)
Ecco qualche album di fotografie dedicato alla vita dei singoli filosofi. Attraverso le immagini, si può rivivere la vita di ciascuno di essi. |
CITAZIONI
Se parlo il mio dialetto, finalmente, in un mondo di dialetti, sarò anche consapevole che esso non è la sola “lingua”, ma è appunto un dialetto fra altri. Se professo il mio sistema di valori – religiosi, estetici, politici, etnici – in questo mondo di culture plurali, avrò anche un’acuta coscienza della storicità, contingenza, limitatezza, di tutti questi sistemi, a cominciare dal mio. (Vattimo, “La società trasparente”)
NIETZSCHE
“Ci vuole un caos dentro di sè per generare una stella danzante“. (Nietzsche, “Così parlò Zarathustra”)
Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: “questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione – e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!” ? Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: “tu sei un dio e mai intesi cosa più divina”? Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: “vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?” graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun’altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello? (Nietzsche, “La gaia scienza”)
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Nietzsche nel 1882 |
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Nietzsche secondo Stoeving |
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ORTEGA y GASSET
La condizione dell’uomo è, in verità, stupefacente. Non gli viene data né gli è imposta la forma della sua vita come viene imposta all’astro e all’albero la forma del loro essere. L’uomo deve scegliersi in ogni istante la sua. È, per forza, libero. (Ortega y Gasset, “Il tema del nostro tempo”)
Vivere consiste nel fatto che l’uomo è sempre in una circostanza, nel fatto che egli si trova immediatamente, e senza sapere come, immerso, proiettato in un orbe o contorno che non si può cambiare, in questo mondo che ora è presente. Per reggersi in piedi in questa circostanza, deve fare sempre qualcosa. Però questo “dover fare” non gli è imposto dalla circostanza, al modo in cui, ad esempio, al grammofono è imposto un repertorio di dischi, o ad un astro la traiettoria dell’orbita. L’uomo, ciascun uomo, deve decidere in ciascun istante ciò che farà , ciò che sarà nell’istante successivo. Questa decisione è intrasferibile, nessuno può sostituirmi nel compito di decidermi, di decidere della mia vita.
L’individuo umano, nascendo, va osservando tutte le forme di vita (esistenti): ne assimila la maggior parte, ne rifiuta altre. Il risultato è che, nell’un caso come nell’altro, egli è , costituito, positivamente o negativamente, da questi modi di essere uomo che erano già presenti prima della sua nascita. Ciò comporta una strana condizione della persona umana, che possiamo cbiamare la sua essenziale preesistenza. Cioè che un uomo, o un’opera dell’uomo, non comincia con la sua esistenza, bensì la precede. Si trova preformato nella collettività in cui comincia a vivere. Questo precedersi in gran parte a se stessi, questo essere prima di essere, dà alla condizione dell’uomo un carattere di continuità . Nessun uomo comincia ad essere uomo, nessun uomo esaurisce l’umanità ma ogni uomo continua l’umano che già esisteva. Questa continuazione può essere indifferentemente positiva o negativa, può consistere nell’accettare o nel rifiutare ciò che è vigente; in entrambi i casi, l’apriori storico che è l’epoca, che è il tempo in cui l’uomo vive, agisce su di lui e lo costituisce.
HEGEL
“Quando la filosofia dipinge il suo grigio su grigio, allora una figura della vita è invecchiata, e con grigio su grigio essa non si lascia ringiovanire, ma soltanto conoscere; la nottola di Minerva inizia il suo volo soltanto sul far del crepuscolo“. (Hegel, “Lineamenti di filosofia del diritto”)
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“La dialettica viene usualmente considerata come un’arte estrinseca che arbitrariamente porta confusione in concetti determinati e produce una semplice apparenza di contraddizioni in essi, in modo che non queste determinazioni, ma quest’apparenza sarebbe un nulla e l’intellettivo invece sarebbe il vero. […] La dialettica invece è questo immanente oltrepassare, in cui l’unilateralità e la limitatezza delle determinazioni dell’intelletto si espone per quello che è, cioè come la loro negazione. Ogni finito è il superare se stesso. La dialettica è quindi l’anima motrice del procedere scientifico ed è il principio mediante il quale soltanto il contenuto della scienza acquista un nesso immanente o una necessità, così come in esso in generale si trova la vera elevazione, non estrinseca, al di là del finito“. (Hegel, “Enciclopedia delle scienze filosofiche”)
ARENDT
Con la parola e con l’agire ci inseriamo nel mondo umano, e questo inserimento è come una seconda nascita, in cui confermiamo e ci sobbarchiamo la nuda realtà della nostra apparenza fisica originale. […] Il fatto che l’uomo sia capace di azione significa che da lui ci si può attendere l’inatteso, che è in grado di compiere ciò che è infinitamente improbabile. E ciò è possibile solo perché ogni uomo è unico e con la nascita di ciascuno viene al mondo qualcosa di nuovo nella sua unicità. Di questo qualcuno che è unico si può fondatamente dire che prima di lui non c era nessuno. Se l’azione come cominciamento corrisponde al fatto della nascita, se questa è la realizzazione della condizione umana della natalità, allora il discorso corrisponde al fatto della distinzione, ed è la realizzazione della condizione umana della pluralità, cioè del vivere come distinto e unico essere tra uguali. (Vita Activa)
Il successo dei movimenti totalitari fra le masse segnò la fine di due illusioni care ai democratici in genere, e al sistema di partiti degli Stati nazionali europei in particolare. La prima era che il popolo nella sua maggioranza prendesse parte attiva agli affari di governo e che ogni individuo simpatizzasse per l’uno o l’altro partito; i movimenti mostrarono invece che le masse politicamente neutrali e indifferenti potevano costituire la maggioranza anche in una democrazia, e che c’erano quindi degli Stati retti democraticamente in cui solo una minoranza dominava ed era rappresentata in parlamento. […] La seconda illusione era che queste masse apatiche non contassero nulla, che fossero veramente neutrali e formassero lo sfondo inarticolato della vita politica nazionale; […] Da un punto di vista pratico, non c’è molta differenza se i movimenti totalitari adottano l’orientamento del nazismo o quello del bolscevismo, se organizzano le masse in nome della razza o della classe, se pretendono di seguire le leggi della vita e della natura o quelle della dialettica e dell’economia. (Le origini del totalitarismo)
E. BLOCH
“Pensare significa oltrepassare“. (Il principio Speranza)
“L’importante è imparare a sperare. Il lavoro della speranza non è rinunciatario perché di per sé desidera aver successo invece che fallire. Lo sperare, superiore all’aver paura, non è né passivo come questo sentimento né, anzi meno che mai, bloccato nel nulla. L’affetto dello sperare si espande, allarga gli uomini invece di restringerli, non si sazia mai di sapere che cosa internamente li fa tendere a uno scopo e che cosa all’esterno può essere loro alleato. Il lavoro di questo affetto vuole uomini che si gettino attivamente nel nuovo che si va formando e cui essi stessi appartengono” (Il principio Speranza, Premessa)
“La mancanza di sogni in avanti è una difesa che, per così dire, ha parvenze filosofiche, ma in realtà è ben poco filosofica: senza attesa alcuna delle cose che devono venire. In questo volontario-involontario scetticismo, invece della speranza si annida la paura, invece della comprensione del futuro […] un ante-finale; e ciò fino al momento di andarsene, o addirittura di naufragare con lo sguardo voltato dall’altra parte. Specialmente la paura, dice Sartre, è uno stato che annulla gli uomini; se ciò è vero, vale il vivificante contrario per la speranza intesa in senso soggettivo e, più che mai, oggettivo. E quand’anche poco importi se venga a costare più o meno costruire dei meri castelli in aria, da cui poi risultino i sogni ottativi, sviati adoperati in modo esclusivamente disonesto, la speranza, con il progetto e il raccordo con il ‘possibile a scadenza’, è la realtà più forte e migliore che si dia. Ed anche se la speranza non fa altro che sormontare l’orizzonte, mentre solo la conoscenza del reale tramite la prassi lo sposta in vanti saldamente, è pur sempre essa e soltanto essa che fa conquistare l’incoraggiante e consolante comprensione del mondo, a cui essa conduce, come la più salda ed insieme la più tendenzialmente concreta” (Su Karl Marx)
KARL MARX
“Al giorno d’oggi, a confronto della critica dei tradizionali rapporti di proprietà, lo stesso ateismo è ‘culpa levis’“. (Marx, “Il Capitale”)
Galleria fotografica dedicata a Karl Marx
“Il risultato generale a cui arrivai e che, una volta ottenuto, mi servì da filo conduttore del corso dei miei studi, può essere, in poche parole, così formulato: nella produzione sociale della loro esistenza gli uomini vengono a trovarsi in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, cioè in rapporti di produzione corrispondenti ad un determinato livello di sviluppo delle loro forze produttive materiali. Il complesso di tali rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, la base reale su cui si eleva una sovrastruttura giuridica e politica a cui corrispondono determinate forme di coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale è ciò che condiziona il processo sociale, politico e spirituale. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma, al contrario, è il loro grado sociale che determina la loro coscienza. Ad un certo grado del loro sviluppo le forze produttive della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti o, per usare un termine giuridico, con i rapporti di proprietà nel cui ambito si erano mosse sino a quel momento. Da che erano forme di sviluppo delle forze produttive, questi rapporti si tramutano in vincoli che frenano tali forze. Si arriva quindi ad un’epoca di rivoluzione sociale. Cambiando la base economica viene ad essere sovvertita più o meno rapidamente tutta l’enorme sovrastruttura“. (Marx, “Per la critica dell’economia politica”, Prefazione)
MARCUSE
L’immaginazione al potere!
Al di sotto della base popolare conservatrice vi è il sostrato dei reietti e degli stranieri, degli sfruttati e dei perseguitati di altre razze e di altri colori, dei disoccupati e degli inabili. Essi permangono al di fuori del processo democratico […] perciò la loro opposizione è rivoluzionaria anche se non lo è la loro coscienza. La loro opposizione colpisce il sistema dal di fuori e quindi non è sviata dal sistema; è una forza elementare che viola le regole del gioco, e così facendo mostra che è un gioco truccato. Quando si riuniscono e scendono nelle strade, senza armi, senza protezione, per richiedere i più elementari diritti civili, essi sanno di affrontare cani, pietre, e bombe, galera, campi di concentramento, persino la morte […]. Il fatto che essi comincino a rifiutare di prendere parte al gioco può essere il fatto che segna l’inizio della fine di un periodo. (Marcuse, “L’uomo a una dimensione”)
Il mondo di un’opera d’arte è “irreale” nel senso comune della parola. E’ una realtà fittizia. Ma è “irreale” non perché sia meno, ma perché è più reale oltre che qualitativamente “altro” rispetto alla realtà stabilita. Come mondo fittizio, come illusione esso contiene più verità di quanta ne contenga la realtà quotidiana. Perché quest’ultima è mistificata nelle sue istituzioni e nelle sue relazioni, che rendono la necessità una scelta e l’alienazione un’autorealizzazione. Solo nel “mondo illusorio” le cose appaiono come ciò che sono e ciò che possono essere. In virtù di questa verità […] il mondo è invertito: è la realtà data, il mondo ordinario che ora appare come una realtà bugiarda, falsa, ingannevole. (Marcuse, “L’uomo a una dimensione”)
RUSSELL
Cos’è il significato del «significato della vita»? Presumo che con questa espressione ci si riferisca a un generico scopo della vita. Non credo che la vita abbia un vero e proprio fine. C’è e basta. Semmai sono gli esseri umani come individui ad avere degli scopi, e non vi è nulla nell’agnosticismo che li spinga a rinunciarvi. Ovviamente non possono essere certi di raggiungere i risultati sperati, ma, d’altronde, un soldato che si rifiutasse di combattere a meno che la vittoria non fosse cena verrebbe giudicato folle. Chi ha bisogno della fede come sostegno per i propri fini è un debole, e non posso considerarlo tanto degno di stima quanto chi accetta i suoi rischi, ammettendo la possibilità della sconfitta.
SARTRE
“L’inferno sono gli altri“. (A porte chiuse)
“Eravamo un mucchio di esistenti impacciati, imbarazzati da noi stessi, non avevamo la minima ragione d’esser lì, né gli uni né gli altri, ciascun esistente, confuso, vagamente inquieto si sentiva di troppo in rapporto agli altri. Di troppo: era il solo rapporto ch’io potessi stabilire tra quegli alberi, quelle cancellate, quei ciottoli. Invano cercavo di contare i castagni, di situarli in rapporto alla Velleda, di confrontare la loro altezza con quella dei platani: ciascuno di essi sfuggiva dalle relazioni nelle quali io cercavo di rinchiuderli, s’isolava, traboccava. Di queste relazioni (che m’ostinavo a mantenere per ritardare il crollo del mondo umano, il mondo delle misure, delle quantità, delle direzioni) sentivo l’arbitrarietà; non avevano più mordente sulle cose. Di troppo, il castagno, lì davanti a me, un po’ a sinistra. Di troppo la Velleda… Ed io – fiacco, illanguidito, osceno, digerente, pieno di cupi pensieri – anch’io ero di troppo. Fortunatamente non lo sentivo, più che altro lo comprendevo, ma ero a disagio perché avevo paura di sentirlo (anche adesso ho paura – ho paura che questo mi prenda dietro la testa e mi sollevi come un’onda). Pensavo vagamente di sopprimermi, per annientare almeno una di queste esistenze superflue. Ma la mia stessa morte sarebbe stata di troppo. Di troppo il mio cadavere, il mio sangue su quei ciottoli, tra quelle piante, in fondo a quel giardino sorridente. E la carne corrosa sarebbe stata di troppo nella terra che l’avrebbe ricevuta, e le mie ossa, infine, ripulite, scorticate, nette e pulite come denti, sarebbero state anch’esse di troppo: io ero di troppo per l’eternità” (La nausea)
“Ma, se veramente l’esistenza precede l’essenza, l’uomo è responsabile di quello che è. Così il primo passo dell’esistenzialismo è di mettere ogni uomo in possesso di quello che egli è e di far cadere su di lui la responsabilità totale della sua esistenza. E, quando diciamo che l’uomo è responsabile di se stesso, non intendiamo che l’uomo sia responsabile della sua stretta individualità, ma che egli è responsabile di tutti gli uomini” (L’esistenzialismo è un umanismo).