BRANI AGGIUNTIVI DI ARISTOTELE
LA FILOSOFIA COME SCIENZA DELL’ESSERE
Ci è una scienza, che contempla l’ente in quanto
[1003. A. 21] ente e le proprietà sue essenziali.
La non s’identifica con veruna di queste scienze particolari: giacché
nessuna di queste medita in universale sull’ente in quanto ente; ma
ciascuna studia le proprietà di sola quella parte dell’ente, che
riesca per sé; così fanno, per esempio, le matematiche.
E poiché noi cerchiamo i principii e le supremissime cause,
è chiaro che devono necessariamente essere principii e cause d’una
natura per sé.
Ora, se quegli i quali cercano gli elementi degli enti, cercavano appunto codeste cause, è necessario che codesti elementi dell’ente fossero quelli degli enti, non sotto un rispetto accidentale, ma in quanto enti; per il che anche noi bisogna trovare le cause prime dell’ente in quanto ente.
LA MIMESI
“L’epopea e la tragedia, come pure la commedia e la poesia ditirambica, e gran parte dell’auletica e della citaristica, tutte quante, considerate da un unico punto di vista, sono mimesi [o arti di imitazione]. Ma differiscono tra loro per tre aspetti: e cioè in quanto, o imitano con mezzi diversi, o imitano cose diverse, o imitano in maniera diversa e non allo stesso modo.”
ORIGINE DELL’ ARTE POETICA – Le Cause della Poesia
“Due sembrano essere, in generale, le cause che hanno dato origine alla poesia; e tutte e due sono proprie della natura umana. La prima causa è questa. L’imitare è un istinto di natura comune a tutti gli uomini fin dalla fanciullezza; ed è anzi uno dei caratteri che differenziano l’uomo dagli altri esseri viventi, in quanto egli è di tutti gli esseri viventi il più incline all’imitazione. Si noti anche che l’uomo acquisisce le sue prime conoscenze per via di imitazione; e che dei prodotti dell’imitazione tutti si dilettano. Una prova di ciò che dico è ciò che succede nell’esperienza comune: infatti, quelle cose che in natura non possiamo guardare senza disgusto, se invece le contempliamo nelle loro riproduzioni artistiche, specialmente se riprodotte nel modo più realistico possibile, ci recano diletto; come, per esempio, le forme degli animali più spregevoli e dei cadaveri. E il motivo è che l’apprendere non è solamente per i filosofi un piacere grandissimo, ma anche per gli altri uomini, seppur con minore intensità. Il diletto che proviamo nel vedere le immagini delle cose deriva proprio dal fatto che, guardando attentamente, ci capita di scoprire e riconoscere cosa ogni immagine rappresenti, come se, davanti a un ritratto, uno esclamasse: ‘Sì, è proprio lui!’. Se per caso non si fosse visto prima l’originale, non sarà l’immagine sua in quanto fedele imitazione a recarci diletto, ma ci diletta l’esattezza dell’esecuzione, il colorito o qualche altra qualità simile. La seconda causa è questa: essendo naturale in noi, non solo la tendenza all’imitazione, ma anche la tendenza a imitare attraverso il linguaggio l’armonia e il ritmo – i metri, infatti, sono varietà del ritmo – è avvenuto che coloro i quali, fin dall’inizio, avevano per queste cose una disposizione naturale, procedendo con lenti e graduali perfezionamenti, dettero origine alla poesia, la quale si è sviluppata da rozze improvvisazioni. Questa poesia si differenziò secondo l’indole particolare dei vari poeti: infatti, quelli di animo più elevato rappresentavano azioni nobili e di nobili personaggi, mentre quelli di animo meno elevato rappresentavano azioni di persone comuni; e così, da principio, alcuni composero canti di vituperio, altri inni ed encomi. Non possiamo ricordare poesie di questo genere da parte di nessun poeta anteriore a Omero, sebbene sia probabile che ci fossero già allora poeti di canti di vituperio; possiamo però ricordarne a partire da Omero, per esempio il ‘Margite’. In queste poesie si utilizzava naturalmente il metro giambico, adatto all’invettiva; il metro si chiama infatti giambico perché con esso si era soliti inveire l’uno contro l’altro. Tra gli antichi ci furono quindi poeti in metro eroico e poeti in metro giambico. Omero, che fu poeta per eccellenza, non solo per la bellezza del suo stile ma anche per il carattere drammatico delle sue opere, fu anche il primo a segnare le linee della commedia, rappresentando non l’invettiva personale ma il ridicolo puro. Infatti, il ‘Margite’ ha con le nostre commedie lo stesso rapporto che l’Iliade e l’Odissea hanno con le nostre tragedie. Quando emersero la tragedia e la commedia, coloro che si sentivano attratti verso uno dei due generi divennero autori di commedie o di tragedie, preferendo questi generi a quelli dei giambi o dei canti epici, poiché le nuove forme avevano ormai maggiore importanza e erano più apprezzate dal pubblico.”