CONFLITTO
“Il conflitto è il padre di tutte le cose”.
(Eraclito, Sulla natura)
A cura di Diego Fusaro La filosofia ha per oggetto la totalità, ossia tutto ciò che c’è. E in tutto ciò che c’è v’è spazio anche per realtà che, forse, potendo scegliere, preferiremmo non fossero. Tra queste potrebbe, credo, annoverarsi il conflitto. Esso, sul piano della storia umana, si manifesta talvolta in quella forma estrema che è la guerra: ossia il conflitto che si fa scontro frontale, aperto, consapevole e che coinvolge parti che, anziché armonizzarsi e trovare una conciliazione, si affrontano con uno scontro in cui sarà la forza a decidere quale abbia ragione. Da sempre gli uomini combattono: ed è anche per questo che a taluni è parso possibile sostenere che il conflitto, anche nella sua forma estrema della guerra, sia una realtà ineliminabile dalla storia del mondo. Finché vi sarà l’uomo, vi sarà la guerra: così si potrebbe condensare la posizione di questi teorici – un nome su tutti: Hegel – dell’ineliminabilità della guerra. Altri, in modo opposto, hanno ritenuto possibile una definitiva risoluzione dei conflitti e il conseguente trionfo della pace, che è appunto la condizione in cui non si guerreggia. Ad avviso di costoro (nel novero dei quali voglio richiamare il nome di Kant), se solo gli uomini si accordassero e dessero vita a un’unione o a una “confederezione” a tal punto grande, da includere l’intero genere umano, si porrebbe per ciò stesso fine, per sempre, a ogni guerra. Guerra e pace, come titola anche un fortunato libro di Tolstoj, formano così una polarità oppositiva: ciascuno dei due termini è la negazione del secondo. Per i romani, come sempre portatori di un sapere assai pragmatico, il solo modo per creare la pace o, per lo meno, le sue condizioni, è di allestire sempre la guerra, facendosi sempre trovare armati. Ma il conflitto può anche essere inteso su un altro piano, che definirò “ontologico”, cioè legato all’essere stesso, alla realtà nelle sue strutture fondamentali. Tale era, ad esempio, la posizione dell’antico Eraclito: a giudizio del quale il “polemos”, ossia il nome greco del “conflitto”, sarebbe il padre di ogni realtà. Eraclito, con questa sua posizione, ci costringe a congedarci da una concezione ingenua della realtà, pensata come una semplice, tranquilla e, appunto, pacifica presenza delle cose che popolano il mondo. Al contrario, la realtà è, a dire di Eraclito, conflitto o, se si preferisce, contraddizione: le cose stesse guerreggiano tra loro, perché si oppongono in forme inconciliabili, proprio come la strada che sale è, insieme, il proprio opposto, ossia la strada che scende. Le realtà, dunque, non sono pacificamente presenti a se stesse, in una quieta compostezza che le fa stare immobili e, per così dire, tranquille. Al contrario, sono immerse in un fluire incessante, in virtù del quale sono e, insieme, non sono. Perché? Perché divengono. E che altro è il divenire, se non il conflitto costante, interno alle cose, tra l’essere e il non essere se stesse? Divenendo, le cose sono e, insieme, non sono se stesse. “Panta rei”, che tradotto dal greco all’italiano vuol dire “tutto scorre”: così diceva Eraclito o, se non lui in persona, qualche suo discepolo fedele. La realtà, senza eccezioni, è in conflitto permanente, perché senza posa diviene: basta provare a immergerci in un fiume per farne esperienza. Le acque con cui ci bagnamo non sono mai le stesse. E, a voler essere rigorosi, nemmeno noi stessi, che siamo scesi nel fiume, siamo mai gli stessi: tale e tanta è la potenza del divenire, a cui nulla di ciò che è si sottrae. Ora, da Eraclito stesso apprendiamo, credo, un altro insegnamento della massima importanza. Se, forse, quello di un mondo interamente pacificato e senza conflitti resta un sogno irrealizzabile, non di meno è possibile opporsi all’idea opposta, quella di una realtà in cui la guerra sia sempre combattuta, con tutti gli esiti nefasti che ne scaturirebbero. Si può, in altri termini, se non eliminare la guerra, almeno limitarla. E ciò in ogni ambito: nel rapporto tra gli Stati, come in quello tra gli uomini all’interno di una data società. Per capirlo, dobbiamo, con Eraclito, pensare a un fuoco che si accende, si spegne e arde secondo misura: e, in tal modo, garantisce quel calore che, in assenza del limite e della misura, diverrebbe funesto e distruttivo per tutti, senza eccezioni. |